Eleonora Abbagnato: Senza paura non c’è paradiso
Eleonora Abbagnato è la stella della danza italiana e oggi dirige il corpo di ballo di Roma. Mentre è in tournée con la sua Carmen ha incontrato Catherine Spaak e a lei ha parlato di quel terrore da palcoscenico che l’accompagna da sempre e di come ha imparato a domarlo
Eleonora Abbagnato è una star internazionale del balletto, étoile del Teatro dell’Opera di Parigi dal 2013 e direttrice del corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma. Ha formato la sua compagnia di ballerini, giovani talenti che alleva con amore e dedizione come fossero suoi figli. Lei ne ha quattro, di bambini: Julia e Gabriel, di 4 anni e 1, avuti dal marito, il calciatore Federico Balzaretti; Lucrezia e Ginevra, 9 e 8, nate dal primo matrimonio del compagno.
Vedo Eleonora mentre si esercita in una “presa”, e le manca il respiro; avverto la sua ansia di dover interrompere le prove per rispondere alle mie domande. Sento musica, fruscii di passi sul parquet. La sua voce è dolcemente autoritaria e orgogliosa: «Ho fatto tutto da sola», mi dirà, nel clima che precede una serie di performance pubbliche nella sua Carmen: il 10 luglio a Como, il 14 a Bari, il 24 a Civitanova Marche, in provincia di Macerata. Impegno e passione combattono contro la sua attrazione fatale per la fuga. Divora la vita e se ne fa divorare, forse, con lo stesso piacere. Sembra rincorrere la felicità che nasce dai fiori e dai frutti dopo la semina e l’attesa durante l’inverno. Quasi tutti gli esseri umani che hanno sofferto e lottato duramente per conquistare un posto al sole, una volta raggiunto l’obiettivo avvertono il bisogno di far patire quelli che non vi sono ancora arrivati, per colmare un vuoto doloroso, per pareggiare i conti con il passato, per azzerare il loro debito con la gloria. Alcuni diventano duri, ansiosi, sprezzanti; altri acquistano uno sguardo nuovo che posano amorevolmente sulle sofferenze del mondo. Eleonora, 38 anni appena compiuti, sembra appartenere ai primi della classe che non perdoneranno mai a se stessi un errore, che non rinunceranno per nessuna ragione allo scettro e alla corona.
Quando ha compreso che la danza sarebbe stata la sua vita?
«A 8 anni, andando via dalla mia città, Palermo; è stato allora che ho cominciato a frequentare stage internazionali di danza. Poi ho incontrato il grande coreografo Roland Petit, che mi ha portata in Francia. Ero ancora bambina ma già facevo parte della sua compagnia. Più tardi, dopo l’audizione, sono entrata all’Opera di Parigi».
In quali occasioni ha dovuto raccogliere tutte le sue forze per non soccombere?
«A Parigi ho vissuto alcuni momenti difficili per la mia carriera, come la scelta che ho dovuto fare tra la Francia e l’Italia. Oggi, sono molto contenta di occuparmi del Teatro dell’Opera di Roma. Nel nostro Paese la danza sta vivendo un periodo difficile e desideravo tornare per questo motivo. Lotto per riuscire a creare qualcosa di grande sul nostro territorio. A Roma il pubblico che mi segue con i miei ballerini è veramente magnifico: per me è una grande soddisfazione. L’impegno e i sacrifici sono premiati. Pochi hanno idea del duro lavoro che svolgono i giovani durante gli allenamenti e le prove. Hanno molto talento. Ho 80 figli anziché quattro».
Ha mai fatto il conto delle ore passate alla sbarra?
«Oh, dio mio! Ci ho passato una vita e non è finita, ci lavoro almeno 40 minuti ogni mattina. La sbarra è la mia pillola giornaliera, sono le mie vitamine per iniziare la giornata».
Non si è mai stancata dei suoi doveri, della disciplina?
«Per un po’ di tempo è stato complicato. A 18 anni avevo già ballato in tutti i grandi ruoli e a 21 sono diventata prima ballerina. È stato allora che sono arrivati i momenti in cui credevo meno in me, proprio mentre avevo grandi responsabilità. La scuola francese è molto dura sul repertorio classico. A volte ho avuto difficoltà a interpretare certi ruoli. Sin da giovane sono stata scelta dai più importanti coreografi come Jiří Kylián, William Forsythe. Molti di loro hanno creato balletti per me e questo mi ha ridato fiducia e fatta crescere a livello personale e come ballerina».
È vero che le ballerine classiche seguono regole alimentari molto rigorose per mantenersi magrissime? Qualcuno insinua che molte siano perfino anoressiche.
«Non entro in queste storie perché, comunque, non sono vere. Potrà essere successo a qualcuna, forse, ma è raro. L’anoressia è più frequente in altri settori. Nessuna fra le mie ballerine è anoressica, neppure all’Opera di Parigi».
Come iniziano le sue giornate?
«Sveglia alle 6 e 45 e colazione con i miei figli».
Lei è molto attenta alla alimentazione: di che cos’è fatta la vostra prima colazione?
«A casa sul cibo andiamo tutti d’accordo. È importante non privare i bambini di niente, quando sono piccoli. Devono assaggiare e provare di tutto e, comunque, ci devono essere molte verdure. Mio marito mangia carne, io poca. Per tutti noi, cibo vario e soprattutto sano».
Ho visto il suo spettacolo a Spoleto l’estate scorsa, in cui associava la danza classica a quella moderna, persino a quella sudamericana; come riesce a mescolare queste diverse discipline?
«Con l’esperienza della danza contemporanea si possono integrare molti stili diversi. Oggi è più facile esplorare le varie discipline: l’hip hop, il flamenco. Mescolare varie forma di danza è fondamentale».
Per un’étoile classica, non è come unire il sacro con il profano?
«No. Bisogna conoscere tutto per crescere sempre».
Qual è il suo balletto preferito? Quando l’ho vista nel ruolo di Carmen non immaginavo che una ballerina bionda potesse avere modi così spagnoli.
«Il fatto di essere bionda mi ha precluso in passato ruoli di carattere. I miei preferiti sono La signora delle Camelie con la coreografia di Roland Petit, Romeo e Giulietta, Manon, che adoro e che ho interpretato subito dopo la maternità, e La sagra della Primavera di Pina Bausch. Sono ruoli con grandi storie alle spalle».
È competitiva, ama le sfide?
«Bisogna avere carattere per andare avanti. Bisogna puntare dritto davanti a sé come se avessimo dei paraocchi, di quelli che mettono ai cavalli. Non bisogna guardare quello che succede attorno, ma avere sempre un obiettivo da raggiungere. È necessario lavorare, lavorare e credere in se stessi».
Guardandola, sembra essere una persona dolce, fragile: un “angelo sulle punte”, com’è stata definita, ma anche dura e determinata. È vero?
«È verissimo, l’aspetto non conta. Bisogna avere tante sfaccettature per riuscire a interpretare ruoli diversi».
È superstiziosa?
«Molto. Prima di entrare in scena devo ripetere in un ordine preciso sempre gli stessi gesti. Mi definirei maniacale: le mie vitamine, il riscaldamento muscolare fatto nei tempi giusti prima dello spettacolo e riti personali. Ho sempre fatto tutto da sola».
Un vero soldato.
«È davvero molto dura la scuola di Parigi».
I francesi sono tremendi, Eleonora.
«Sono splendidi per la disciplina e l’insegnamento».
Come si relaziona con il suo corpo? Ne conoscerà ogni muscolo, ogni sofferenza.
«La danza ci porta a essere molto critici. Pochi conoscono il rigore, la disciplina, l’impegno che richiede il ballo. Non ho mai avuto dubbi riguardo alla mia scelta. Quello che amo è ballare».
Qual è il momento che le regala più piacere?
«Essere in scena è la cosa più bella. Entrare in un ruolo, viverlo come se fosse l’unica cosa che conta al mondo è inebriante: il palcoscenico è il mio paradiso».
Ha conosciuto quello che i francesi chiamano il “trac”, il terrore che paralizza prima di entrare in scena?
«Sempre. Sono molto ansiosa e a volte devo concentrarmi più del solito. Il “trac” dev’esserci: chi non lo prova possiede meno sensibilità e non è un vero artista».
Le è mai capitato qualcosa d’imbarazzante in scena?
«Sì, tanti piccoli episodi come, per esempio, restare incastrata al partner per colpa dell’abito. Sono dettagli di cui il pubblico non si accorge, ma che noi non dimentichiamo. Mi è successo anche di scordare i passi della coreografia per qualche secondo, vuoti brevi, però sembrano un’eternità».
Prova ancora paure che non è riuscita a esorcizzare?
«Quelle paure ci sono sempre, oggi sono addirittura maggiori viste le mie responsabilità nei confronti dei ballerini della mia compagnia».
Per finire, ha voglia di giocare con me al “Se fosse”?
«Proviamo».
Se fosse una fata, chi sarebbe?
«La Fata Turchina».
Se fosse un monumento?
«Un grande teatro composto con piccoli pezzi di tutti i teatri del mondo».
Se fosse un complimento?
«Qualcosa che riconosce la mia generosità».
Se fosse una parola?
«Determinazione».
Se fosse una minaccia?
«Scappo!».
Se fosse una promessa?
«Non mollare mai».
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