Chad Le Clos: Mamma, papà, stavolta vinco anche per voi
Chad Le Clos è il nuotatore sudafricano che, quattro anni fa, ha sorpreso tutti battendo in vasca il suo mito. Ora arriva ai Giochi da favorito. E vuole dedicare l’oro ai suoi genitori che, nel frattempo, hanno una sfida ancora più importante davanti a loro
Chi sogna i propri eroi e chi invece li incontra e li batte sul campo. Anzi, nella vasca di una piscina. Alle Olimpiadi 2012 il sudafricano Chad Le Clos ha superato Michael Phelps, il nuotatore più forte di sempre (vedi pagina 58), e si è aggiudicato la medaglia d’oro dei 200 metri farfalla per soli 5 centesimi di secondo. Mentre l’acqua rifletteva ancora i flash dei fotografi, lui rispondeva alle interviste con suo padre Bert al fianco. Una presenza incoraggiante e protettiva per un ragazzo di 24 anni, astro del nuoto mondiale.
Le Clos sarà alle Olimpiadi di Rio per difendere il titolo dei 200 farfalla, primeggiare nei 100 metri e ottenere il massimo nei 200 stile libero. Sudore e cronometro scandiscono le sue giornate. Nel frattempo, il fisico scolpito da migliaia di bracciate lo ha fatto salire sul podio degli atleti più belli. Un successo che Le Clos ha sempre affrontato con il sorriso. Lo stesso che ritrovo quando lo incontro, mentre sta posando per la terza capsule collection che il marchio Arena gli ha dedicato. Ci accomodiamo sotto a un ombrellone del Tizé Village di Rosolina Mare, in provincia di Rovigo, tra pini marittimi e cicale che cantano.
Per Le Clos è un momento difficile. Il campione ha da poco annunciato che il padre Bert sta lottando contro un tumore alla prostata e la madre Geraldine contro il cancro al seno. «Più di tutto spero che i miei genitori vincano le loro battaglie», mi dice. «Per me la mia famiglia è tutto». Per un attimo ripenso alla scena delle interviste londinesi con suo padre. Sono passati quattro anni e un’altra sfida a cinque cerchi si avvicina. Chad ora è il favorito e tutti gli occhi saranno puntati su di lui.
Come vive i giorni che la separano dalle Olimpiadi?
«Senza paura, cerco di concentrarmi. Voglio arrivare al meglio della forma. Mi sono allenato duramente, faccio palestra e seguo una dieta sana. Il nuoto è questione di precisione. Limare le frazioni di secondo significa andare alla ricerca di quello che può fare la differenza. Postura, movimento, preparazione, è nei dettagli che si nascondono le maggiori soddisfazioni».
Teme i suoi avversari, uno su tutti Michael Phelps?
«Phelps mi ha sempre ispirato. Ammiro la sua dedizione per il lavoro, la sua serietà e la sua professionalità. Qualità che cerco di portare ogni giorno con me durante gli allenamenti. Mi ricordo che nel 2008 guardavo Phelps in televisione alle Olimpiadi di Pechino e dentro di me una vocina mi diceva: “Tra quattro anni lo voglio battere”».
Pensiero che poi è diventato realtà a Londra nel 2012.
«Sì, ed è stato surreale e travolgente. Ho provato una vertigine di sensazioni positive anche se vissute con la consapevolezza di avere molta strada davanti».
Mi dica la verità: si è già immaginato sul podio di Rio?
«Sarebbe incredibile, magico, un’emozione amplificata al quadrato rispetto a Londra».
Ha mai pensato di mollare?
«Nuoto da quando avevo 8 anni. Ho iniziato per caso, soffrivo di asma e mi sono iscritto a un corso. Inizialmente nuotavo e giocavo a calcio. La mia famiglia sperava che proseguissi con il calcio, ma a 13 anni ho deciso di concentrarmi sul nuoto. Una scelta d’istinto. Ho frequentato la Westville Boys High School e poi ho lasciato gli studi per vivere il mio sogno».
Prima di tuffarsi a Rio farà qualche gesto scaramantico?
«Ammetto di essere un po’ superstizioso. Porto sempre con me un portafortuna che mi è stato regalato in famiglia. È una moneta che tengo in tasca. Non me ne posso separare perché mi aiuta a sentire gli affetti più cari vicino a me».
In gara è più importante la forza fisica o la concentrazione?
«Ci dev’essere sincronia tra le due. La concentrazione serve, ma è fondamentale la forza che metti nei muscoli per imprimere il movimento nell’acqua».
Se dovesse scegliere un aggettivo per definirsi?
«Normale. Mi piace stare con gli amici, giocare con la play station e fare surf».
Sono sudafricani anche Oscar Pistorius, l’atleta appena condannato a 6 anni di reclusione per l’omicidio della sua fidanzata, e il premio Nobel per la Pace Nelson Mandela. Che cosa pensa di due uomini così profondamente diversi?
«Sulla vicenda Pistorius non voglio commentare, se ne è già parlato molto. Mandela mi rende orgoglioso di essere sudafricano. Ci ha insegnato che lo sport è l’arma più grande per abbattere il razzismo e quindi l’odio. È un messaggio che ho fatto mio cercando di essere il campione della gente. Nel mio Paese molti ragazzi mi seguono e io non voglio deludere le loro aspettative. Cerco di comportarmi in modo corretto e rispettoso degli altri. Voglio dare un’immagine pulita del nuoto. Le vittorie vengono dopo».
Ha mai fatto il conto delle ore passate in acqua?
«Oh, proprio no! Ma ogni settimana compio in media dai 60 ai 90 chilometri nuotando».
Qualche rimpianto?
«Non lo nego. È dura allenarsi tutti i giorni, stare con la testa sott’acqua, fissare per ore il fondo della piscina. Talvolta è persino noioso. Questo sport è anche solitudine, passo molto tempo con me stesso. Ma quello che mi dà la motivazione per essere nuovamente in vasca l’indomani sono i piccoli traguardi quotidiani»
C’è posto per l’amore?
«Adesso non è il momento. Mi sto concentrando sulle Olimpiadi»
Per la Festa della donna ha rivolto delle belle parole a sua madre Geraldine. L’insegnamento più prezioso che le ha trasmesso?
«È la donna numero uno. Credo che ogni mamma lo sia per i figli. Per me è un punto di riferimento».
Tralasciando il dizionario. Qual è la sua definizione di nuoto?
«È passione, forza, respiro, sacrificio, talento. Assomiglia molto alla vita, non le pare?».
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