A Venezia Bérénice Bejo arriva con un film in cui sarà la madre di un Robert Pattinson scandaloso. E, mentre anticipa a Grazia uno dei titoli più attesi della Mostra del Cinema, l’attrice francese racconta com’è convivere con un marito regista (e premio Oscar), crescere due figli sul set e vivere lontano dall’Argentina. Il Paese da cui è dovuta fuggire da bambina
L’abito smanicato stretto in vita mette in risalto la sua figura sottile. Bérénice Bejo parla gesticolando come una latina. Ma quando afferra una fragola dalla coppa sul tavolino che ci separa, lo fa con il garbo di una francese. È un mix affascinante, questa 39enne argentina cresciuta a Parigi dall’età di 3 anni. Merito dei suoi genitori, un regista e un’avvocato, fuggiti da Buenos Aires nel 1979 lasciandosi alle spalle la dittatura di Jorge Rafael Videla.
Bérénice voleva recitare da quando era una bambina. A 17 anni ha risposto a un annuncio finendo in un film algerino, poi è rimasta nell’ombra per vent’anni, finché nel 2011 non ha preso parte al film Oscar The Artist, diretto da suo marito Michel Hazanavicius, 48. Con lui, oltre alle cinque statuette vinte, Bejo ha tre pellicole all’attivo e due figli: Lucien, 7 anni, e Gloria, 3. Ora è impegnata sul set del film di Marco Bellocchio intitolato Fai bei sogni, tratto dal libro del giornalista Massimo Gramellini, e stiamo per vederla alla mostra del Cinema di Venezia accanto a Robert Pattinson nell’atteso film The Childhood of a Leader, “l’infanzia di un leader”, in concorso nella sezione Orizzonti. È l’esordio alla regia dell’attore Bradley Corbet e racconta la storia di una famiglia americana che va a vivere nella campagna francese alla fine della Prima guerra mondiale. Il padre lavora per il governo degli Stati Uniti alla stesura del Trattato di Versailles, il documento che pose fine al conflitto nel 1919; la madre combatte con un figlio ribelle, segnato dalle manie di grandezza e affascinato dal fascismo.
Com’è stato calarsi nei panni della madre di Robert Pattinson? Nel film è come se il ragazzo fosse una sintesi del giovane dittatore Adolf Hitler e di Benito Mussolini.
«Il personaggio di Robert è stato scritto pensando a molti grandi dittatori del 20° secolo, ma il film affronta la debolezza della pace sancita con il Trattato di Versailles. Resta il fatto che il mio ruolo non è materno nel senso convenzionale: mio figlio è una specie di diavolo».
The Childhood of a Leader è un film storico?
«Aspettatevi delle atmosfere più da horror, con una colonna sonora all’altezza. Abbiamo girato a Budapest, in Ungheria, ed è una vicenda molto curata dal punto di vista storico, ma il regista si è preso qualche licenza».
Ha girato film come Il passato e The Search: nel primo si parla di una separazione, nel secondo di profughi in fuga dalla guerra. I drammi familiari e il tema dell’abbandono della propria terra sono tra i suoi soggetti preferiti. Quanto la influenza nella scelta dei ruoli la sua storia personale?
«Nel ’79, quando i miei genitori sono scappati dall’Argentina lasciandosi tutto alle spalle, avevo solo 3 anni. Non è stata una scelta, non potevano fare altrimenti. Arrivati a Parigi mio padre, che nel suo Paese era un regista, si è accontentato di lavorare come semplice cineoperatore. Mia madre, invece, che era un avvocato affermato, ha iniziato a fare l’agente immobiliare».
Che cosa le hanno raccontato dei suoi anni in Argentina?
«Da bambina mia madre mi diceva: “Sei nata durante la dittatura”. Ma solo quando sono cresciuta, le ho chiesto: “Perché hai fatto due figlie in quel periodo, quando dovevi vivere nascosta per paura della repressione?”».
Risposta?
«Mi ha detto che la vita è più forte di tutto, che lei ci voleva e ci ha avuto. Ho capito la sua lezione. Ho molti amici ceceni e ruandesi che, cresciuti con la guerra, hanno passato esperienze tremende. Quando ne parlano ancora piangono, ma in qualche modo sono andati avanti».
Come madre qual è la cosa che teme di più per i suoi figli, Lucien e Gloria?
«Mi spaventano tante cose, ma la paura maggiore è che abbiano qualche brutto incidente».
Li ha portati con lei durante le riprese in posti pericolosi? Penso a The Search, il film girato da suo marito che racconta della Cecenia.
«Non eravamo davvero in quel Paese, il conflitto era ancora in corso. Abbiamo girato per sei mesi in Georgia e i bambini non se la sono passata affatto male: Lucien andava all’asilo francese, Gloria aveva una sua tata».
Com’è lavorare con il proprio partner a progetti tanto impegnativi?
«Il problema non è tanto la professione che svolgiamo, ma il contenuto del film. A volte le riprese sono difficili, in condizioni complicate, e le giornate sembrano non finire mai».
E voi ce la fate? Come?
«Ci parliamo molto e questo ci aiuta. La nostra vita sono i nostri figli e i film che facciamo: è questo che ci tiene assieme. E poi viaggiamo tanto e vediamo così tante persone diverse che avere sempre accanto un punto di riferimento ti fa sentire più forte».
Ha mai da ridire sul lavoro di suo marito?
«No, trovo che sia molto bravo. Conosco ogni minimo passaggio di quello che pensa e scrive, e questo mi facilita il lavoro quando siamo sul set».
So che ha versato molte lacrime da bambina, quando ha fatto un provino per un film con l’attore Gérard Depardieu e poi non è stata scelta. Ma se penso a che cosa le è successo negli ultimi tre anni, la nomination all’Oscar, la Palma d’Oro a Cannes come migliore attrice, direi che quelle lacrime appartengono al passato.
«Da piccola volevo fare l’attrice, ma non pensavo al successo o ai premi. Oggi quando parlo con i giovani che desiderano fare questo mestiere li sento dire: “Voglio diventare famoso”. La tv e i reality show hanno cambiato tutto. Non in meglio».
Invece lei che cosa sognava, da bambina?
«Di finire sullo schermo di un cinema perché per me la cosa più bella era vedere un film con i miei genitori. In un certo senso le cose sono diventate più grandi di quello che immaginavo».
Suo padre Miguel è un regista, l’ha incoraggiata?
«Mi ha avvantaggiata, ma in casa papà non è l’unico che ama il cinema. Anche mia madre se ne intende. La notte li sentivo discutere di registi sconosciuti e di film da rivedere».
Quando lei e suo marito siete in viaggio, i nonni vi tengono i bambini?
«Succede quando sono ai festival, come Venezia. Ma in questi casi più che fare i nonni, si trasformano in fan. Se li chiamo, invece di dirmi come stanno i bambini, mi fanno mille domande su come è andata la proiezione».
Che cosa dice suo padre dei suoi film?
«Dipende. Alcuni li ama, altri li ignora. Per me è stato un grande regalo farlo partecipare alla lavorazione di The Artist e The Search. È stato bellissimo averlo accanto».
Ha dichiarato che suo marito assomiglia a suo padre. In che senso?
«Lui e Michael hanno gusti simili, a entrambi piacciono i film impegnati».
Tornerà mai a vivere in Argentina?
«Ci sono andata nel 2001, da sola. Lì c’è tutta la mia famiglia: nonni, zii, cugini. C’è mia sorella, che sento ogni giorno con WhatsApp e alla quale mando un sacco di foto. Non so se tornerò mai a vivere lì: per ora con i miei figli parlo in spagnolo. Nell’anima sì mi sento argentina».
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