Anna Safroncik: «Mio padre e la grande fuga da Kiev»
Durante l’intervista non lascia neanche per un attimo la mano del suo papà. Anna Safroncik lo abbraccia, ancora incredula di essere riuscita a portarlo in Italia da una Kiev rimasta per giorni sotto le bombe. «Me lo coccolo», dice. «In contrapposizione con l’atrocità di questa guerra, averlo qui è un regalo del destino».
L’attrice ucraina è arrivata nel nostro Paese quando aveva 11 anni insieme con sua madre. È diventata un’attrice affermata (da C’era un cinese in coma di Carlo Verdone a numerose serie tv, come Il commissario Manara e Le tre rose di Eva), mentre suo padre Ievgen è rimasto a Kiev, dove insegna canto lirico all’Accademia della musica Prokofiev.
Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, Anna ha passato momenti drammatici. Ma anche da lontano è riuscita a organizzare la fuga del suo papà. Una piccola odissea a lieto fine.
Come ha vissuto i primi giorni del conflitto?
Ievgen: «L’offensiva militare russa sembrava inarrestabile. Molte persone non volevano andare via da Kiev, all’inizio neppure io. Casa mia è in centro, vicino a piazza Maidan, teatro di ogni protesta negli ultimi anni. L’Accademia per cui lavoro aveva detto che potevamo lavorare online, da casa. Ma man mano che passavano le ore, la situazione peggiorava. Fino a quando abbiamo iniziato a sentire sparare per strada».
Anna: «Accanto a casa del mio papà c’è il ministero della Difesa: nei primi giorni alcuni soldati russi travestiti da ucraini hanno cercato di entrare. Il quartiere era diventato un bersaglio militare. Prima dello scoppio della guerra c’era tensione al confine e avevo chiesto a papà di partire. Ma lui mi tranquillizzava: “Devo fare gli esami agli studenti”. La verità è che la guerra contro la Russia c’è dall’invasione della Crimea nel 2014. E oggi nessuno si aspettava un attacco così rapido e violento. Questi giorni resteranno incisi nella mia memoria. Ero terrorizzata e nelle telefonate con il mio papà sentivo il rumore degli spari. Non dormivo più».
Quand’è riuscita a portare il suo papà in Italia?
Anna: «Poco dopo l’invasione: è stata consentita l’evacuazione dei civili. Mio padre ha avuto la fortuna di partire con il primo corridoio umanitario».
Che cosa è riuscito a portare con sé?
Ievgen: «Documenti, i pochi soldi che avevamo in casa e uno zaino in due. La regola era ferrea: sul treno per Leopoli, verso il confine polacco, potevano entrare o le persone o le valigie. Ma con Olga, mia moglie che è qui con me in Italia, abbiamo dovuto aspettare per tutta una giornata in stazione. Non si poteva rimanere ai binari: c’erano 20 gradi sotto lo zero. E caricavano solo donne e bambini. Anche se ho più di 70 anni, non avevo la precedenza. Siamo riusciti a salire la sera, sull’ultimo treno. Abbiamo viaggiato al buio per non essere bersaglio dei russi».
Che cosa ricorderà di quel viaggio?
Ievgen: «La grande solidarietà tra la gente. Noi arrivavamo da Kiev, ma c’era chi era in viaggio da giorni. Nel vagone eravamo ammassati, uno sopra l’altro, uniti solo dalla speranza di sopravvivere. C’era chi non aveva più niente da mangiare. La gente si divideva il poco che aveva, pane, formaggio, biscotti».
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Foto di Piergiorgio Pirrone
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