«Anna Frank, le donne, i gay e Hamas»: l'editoriale di Silvia Grilli
È stato uno dei libri più amati della mia infanzia: il diario di Anna Frank, una ragazzina ebrea di 13 anni che racconta con purezza a Kitty, l’amica immaginaria, le sue giornate da perseguitata. Anna deve portare addosso il marchio giallo della stella giudaica, non può frequentare locali pubblici, non può prendere il tram. Poi con la sua famiglia, braccata dalla polizia nazista, è costretta a murarsi viva in un nascondiglio per sfuggire alla deportazione. Finché viene prelevata dalle SS e morirà nel campo di concentramento di Bergen Belsen, adibito allo sterminio di ebrei, rom, dissidenti e omosessuali.
Dopo l’Olocausto, il mondo aveva detto «mai più». Ma il 7 ottobre il massacro di bambini e anziani israeliani nelle loro case, lo stupro di giovani donne, la caccia all’ebreo da parte dei nuovi nazisti di Hamas, che si proclamano partigiani palestinesi, ci hanno riportato allo sterminio della Seconda Guerra Mondiale.
Il fatto sconvolgente è che Israele è stato considerato vittima per poche ore. Il giorno dopo era già giudicato carnefice. Sono arrivati immediatamente i distinguo, poi nelle scuole slogan e striscioni inneggianti a Hamas. Sinagoghe sono state attaccate in tutto il mondo e la stella di David (utilizzata dai nazisti durante la Shoah per identificare i giudei) è stata usata per marchiare edifici abitati dagli ebrei come ai tempi delle persecuzioni di Hitler.
Anche nel nostro Paese le comunità ebraiche si sono date nuove regole per la sicurezza che ricordano quelle dei tempi più bui: cambiate i luoghi d’incontro; evitate di andare in giro con la kippah (il copricapo dei maschi) o con magliette con scritte in ebraico; scendete a ritirare il cibo d’asporto evitando di fare arrivare i corrieri fino al vostro appartamento; fate attenzione all’uso dei social. L’immagine di Anna Frank è stata brandita in corteo a Milano da manifestanti in gran parte palestinesi e musulmani di varie generazioni, che urlavano: «Aprite i confini, così possiamo uccidere gli ebrei». Impossessandosi della memoria di Anna, hanno sostenuto che, se fosse stata una tredicenne oggi, sarebbe stata una profuga palestinese. Non credo: se la piccola Anna fosse sopravvissuta al lager e fosse riparata in Israele, sarebbe stata ancora una volta l’ebrea perseguitata.
Il massacro del 7 ottobre è molto simile all’orrore nazista, eppure non sembra scalfire le certezze dei ragazzi che sfilano a Milano e ovunque. Gruppi di studenti privilegiati di Harvard e Columbia, tra le più prestigiose e costose università del mondo, hanno pubblicato lettere sostenendo che i massacri di Hamas sarebbero responsabilità degli ebrei. Studenti dell’Università George Washington hanno proiettato avvertimenti: “Dissociatevi subito dal genocidio sionista”. Un conferenziere ha chiesto a studenti ebrei quanta della loro gente fosse morta durante l’Olocausto. Alla risposta «sei milioni», ha replicato: «Molti di più sono morti durante la colonizzazione, che è quello che Israele fa ai palestinesi».
Per difendere la propria incolumità, gli studenti ebrei della Cooper University di New York si sono dovuti rifugiare nella biblioteca, mentre un gruppo di ragazzi pro-Hamas cercava di sfondare la porta. In tutta l’America i manifesti con le foto degli ostaggi non ancora rilasciati dai terroristi vengono strappati da attivisti pro-palestinesi.
In Italia e nel mondo questi studenti sono gli stessi che giustamente difendono i diritti e la libertà di espressione. Come possono ignorare che, oltre a massacrare gli ebrei, Hamas schiavizza le donne, uccide gli oppositori, perseguita brutalmente la comunità LGBTQ+?
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