Allarmismo Ebola
Sono partita da Milano per New York con il personale dell’aeroporto di Malpensa che discuteva sui pericoli dell’Ebola. In aereo ho letto sui quotidiani del cordone sanitario che avrebbe atteso i passeggeri all’arrivo al JFK: pistole a infrarossi per verificare la temperatura.
Sono partita da Milano per New York con il personale dell’aeroporto di Malpensa che discuteva sui pericoli dell’Ebola. In aereo ho letto sui quotidiani del cordone sanitario che avrebbe atteso i passeggeri all’arrivo al JFK: pistole a infrarossi per verificare la temperatura.
Invece è stato il controllo passaporti più veloce tra tutti i miei atterraggi negli Stati Uniti. La procedura medica è valida solo per i voli provenienti dall’Africa, ma questo negli articoli non era scritto. La paura viaggia più veloce dell’epidemia, che purtroppo è una calamità per il popolo africano, ma non per l’Europa e neppure per l’America.
La notizia che un’infermiera spagnola e una di Dallas hanno contratto il virus ha causato il panico. I mezzi d’informazione dovrebbero smetterla di diffondere la psicosi tra di noi.
Capisco che faccia più notizia il disastro della normalità, ma mi pare di essere ritornata ai tempi della Sars. Allora il giornale per cui lavoravo, Panorama, mi inviò a Hong Kong a seguire l’epidemia e io, bombardata da allarmismi, mi ammalai di autosuggestione. Scambiai una febbre da aria condizionata per sintomo dell’infezione e temetti di essere in pericolo di vita.
Ci tengo a chiarire qui che contrarre il virus è estremamente difficile. Ebola si trasmette solo attraverso sangue, saliva, latte materno, insomma fluidi corporei e richiede uno stretto contatto con le persone malate. Ricollochiamo la questione entro i suoi confini, smettendola di far credere che l’Italia sia un Paese a vero rischio Ebola.
© Riproduzione riservata
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