«A tutte noi vive per caso»: l'editoriale di Silvia Grilli
«Si riparte dalle ceneri, io porterò in alto il nome di Giulia e farò in modo che tutto questo fuoco che ho dentro, dolore e rabbia, non sia invano. Filippo Turetta non è un mostro, perché “mostro” è l’eccezione. Lui mostro non è. È un figlio sano della società patriarcale. Il femminicidio non è un delitto passionale, è un delitto di potere».
Io riparto da queste parole di Elena Cecchettin, la sorella di Giulia uccisa dal suo ex fidanzato, per mettere ordine al terremoto delle mie emozioni. Le donne hanno fatto nel corso dell’ultimo secolo una rivoluzione impetuosa. Una rivoluzione che non è finita e sta mietendo molte vittime.
Quelle che osano ribellarsi al possesso maschile, in Italia rischiano di venire uccise dai loro compagni. In Iran, oltre che dai mariti, vengono massacrate anche dalla polizia della morale.
Di fronte alla perdita di potere, gli uomini più deboli crollano. Se la donna, la loro donna, è l’unico specchio che riflette il loro essere maschi, i rifiuti di lei sono un colpo feroce alla propria identità. Filippo Turetta non voleva che Giulia si laureasse prima di lui, avrebbe dovuto aspettarlo, voleva che lei rallentasse. Lei non ha rallentato: lui l’ha uccisa.
Conosciamo questa storia: rallenta donna, altrimenti lui si svirilizza. In Afghanistan non ci fanno studiare, per evitare di svirilizzarli. In Italia ci dicono ancora: «Prendi respiro, guadagna meno di lui, lascia il lavoro, lascia che lui ti dica che cosa devi fare, santa ragazza». E invece non rallentiamo, ci ribelliamo e le più sfortunate vengono colpite.
Tutte noi donne, ancora vive, siamo vive per caso. Avrebbe potuto succedere a ognuna di noi d’incontrare un Turetta. Chi più, chi meno, tutte noi abbiamo avuto un fidanzato che ti diceva o faceva capire che avresti dovuto tornare al tuo posto primitivo.
Tutte noi abbiamo vissuto la prevaricazione: chi più chi meno tutte noi ancora la subiamo. Si può decidere di non subirla più, ma non si può sapere come andrà a finire.
Cito ancora Elena Cecchettin: “Il femminicidio è un delitto di Stato”. Lo è: nasce in un contesto culturale e sociale che controlla il nostro corpo e la nostra testa. Ogni giorno è il 25 novembre: giornata contro la violenza sulle donne. La strage non finirà mai finché gli uomini non capiranno che non siamo loro proprietà, finché non conosceranno il rispetto. Non basterà buttare via la chiave delle celle degli assassini quando saremo già morte.
© Riproduzione riservata