Milano al maschile: la dimora dell'economista Antonio Padula
Una questione di genere la casa di Antonio Padula.
Maschile, sobria e accogliente, con geometrie rigorose, ma non severe, cromie Farrow&Ball alle pareti in contrasto con il candore delle volte e delle porte a vetri e a doppio battente come nella migliore tradizione milanese.
Atmosfere “scure” ma inondate di luce, quella della città. Arredi dalle funzionalità nette, pochi oggetti dall’appeal scultoreo, piccole pitture grafiche alle pareti e foto d’autore ben incorniciate. Gli arredi sono pochi ma di grande personalità firmati Jean Prouvé, Charlotte Perriand, Arne Jacobsen, Hans Wegner, Eero Saarinen. Ogni singolo pezzo cercato e amato, nulla lasciato al caso.
In questi ambienti puliti risuona un gusto molto personale nutrito da una sensibilità che accosta forme nitide e colori pastosi alla funzionalità elaborata con quel genio creativo tipico della metà del ’900, che ancora oggi continua ad essere epoca feconda per tutto il mondo del design. Le cromie raffinate alle pareti sono il filo conduttore della casa, vestite di sfumature che stemperano i contrasti di arredi e materiali, decisi e importanti: color sabbia e velluto nero per i divani, metallo e marmo scurissimi per cucina e bagno, il blocco in legno (accanto al divano) parte di un ponte indonesiano e i tombini in cemento diventati comodini accanto al letto. Tutto è addolcito dal legno e paglia intrecciati della seduta di Hans Wegner, dalle forme del tavolo Tulip di Eero Saarinen, dalle T chairs di Arne Jacobsen, dalle lampade anni ’30 e ’50 e da Love is the Drug, l’opera di Laureanna Toledo.
Pugliese di origine – nel centro storico di Lecce ha abitato in una casa del 1600 – il padrone di casa, Antonio, vive da 31 anni a Milano, città che adora per la gente e per le bellissime architetture. Ha assaporato cultura e modi di abitare che hanno radici nel cuore della Puglia e li ha ibridati con i geni del capoluogo lombardo. La passione per il design l’ha ereditata da sua madre che sin da bambino accompagnava nella ricerca di case da rimettere a posto. Ha visto all’opera una nutrita schiera di maestranze, muratori, scalpellini, falegnami, artigiani abilissimi dai quali ha imparato il senso del lavoro ben fatto e di cui conserva un vivido ricordo. L’imprinting materno ha in qualche modo forgiato il suo gusto e forse a lei deve l’atmosfera accogliente che si respira in casa.
Economista prestato alla moda, Antonio lavora per Costume National e altre griffe da lungo tempo. E spiega: «Amo l’approccio minimal che come un fil rouge ricorre nel mio lavoro e nella mia vita privata, dagli stilisti alle aziende con le quali lavoro. È il mio modo di vedere il mondo. Credo che le cose non accadano mai per caso, io mi sento a mio agio nel modernismo e nel razionalismo, il mio gusto estetico entra nelle mie scelte professionali e personali. Tutto è collegato».
A lui, che lavora come economista nel cuore della city, chiedo cosa pensa dell’Expo alle porte. Da ragionevole ottimista mi risponde che non ne nasceranno opportunità per tutti, dipenderà da quanto ognuno saprà coglierle e dalle energie che verranno messe in circolazione. Sarà uno spunto per chi ha buone idee e si dà molto da fare.
GALLERY
Foto 1. Contrasti cromatici. Alle pareti, il chiaro Charleston gray 243 e Down pipe 26 di Farrow&Ball sono il filo conduttore della casa di Antonio Padula. Nel living tavolo in metallo Table Tropique, sedie Standard (entrambi coll. Prouvé Raw) e lampada Potence (Vitra), tutto firmato Jean Prouvé.
Foto 2. Lui e lei. Antonio e la sua compagna Chantal Theodore seduti sul divano danese degli anni ’50 (Mauro Bolognesi).
Foto 3. Maschile accogliente. Sulla parete lunga mobile Riflesso di Charlotte Perriand (Cassina) e divani in velluto nero. Tavolino vintage di Hans Wegner (Mauro Bolognesi) e libreria in ferro disegnata da Vittorio Vignazzi (Revig). Tappeto in lana di Ikea. Il blocco in legno accanto al divano è parte di un ponte di provenienza indonesiana.
Foto 4. Modernista. In sintonia cromatica con la tinta delle pareti, la scrivania Table Compas (Vitra) e la sedia Fauteuil Direction di Jean Prouvé (collezione Prouvé Raw). Di sapore vintage anche la poltrona danese color sabbia (Mauro Bolognesi).
Foto 5. In cucina. Piano nero in ferro saldato su disegno di Vittorio Vignazzi (Revig), tavolo Tulip di Eero Saarinen (Knoll Int.), T chairs di Arne Jacobsen.
Foto 6. Tocco high tech. Frigorifero in acciaio Liebherr e carrello da ambulatorio medico anni ’50.
Foto 7. Sapore Novecento. Nel bagno essenziale: lavandino e pavimenti in marmo nero St. Laurent, piastrelle in ceramica pura bianca diamantata (Magia Due), rubinetteria minimal (Fantini) e sedia scultorea in legno e paglia di Hans Wegner (Klassik Design Copenhagen).
Foto 8. La camera da letto. Tra pareti “nude” dipinte in Oval room blue 85, (Farrow&Ball), letto imbottitto rivestito in cotone grezzo; accanto tombini di cemento recuperati come comodini.
Foto 9. Grafico. Il mobile Bahut di Jean Prouvé (Coll. Prouvé Raw) con opera Love is the Drug di Laureanna Toledo; lampada da studio fotografico anni ’30 di Coemar e tappeto afgano di feltro (Altai).
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