Fotogallery La casa sulle colline piacentine della designer Marina Sinibaldi Benatti
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Un antico complesso in disuso trasformato in una luminosa dimora country chic
Anticamente le comunità monastiche sceglievano con criteri precisi la posizione dei loro conventi: al sommo di un’altura, poco lontano dal borgo, ma a sufficienza per marcare la distanza.
Questo spiega la collocazione del palazzo di Marina Sinibaldi Benatti, artista e interior designer milanese, sulle colline del piacentino: convento dei frati minori (dal XIV secolo), poi degli eremitani, infine palazzo nobiliare, il complesso sorge poco distante da un centro abitato, su di un poggio da cui si ammira, nelle giornate limpide, l’arco delle Alpi a Nord, gli Appennini a sud e, nel mezzo, la grande Pianura. Il palazzo, composto da un corpo padronale con elegante torretta finestrata e da due ali laterali con cortile al centro (l’antico chiostro), è una casa di famiglia, vissuta in tutti i suoi spazi, compreso l’ampio parco con alberi secolari.

«Quando mio marito l’ha ereditata, la villa era disabitata e spoglia, come una tabula rasa», racconta Marina; «e questo, da un lato, è stato un bene. Ho potuto lavorare al recupero e alla riconversione più liberamente, anche se l’intervento ha richiesto otto anni». Marina Sinibaldi solo da alcuni anni si occupa professionalmente di progettare e arredare case; nella precedente fase professionale era una designer di gioielli: «Ho compiuto una svolta e ho scelto l’interior design, che svolgo con più libertà e con tempi meno frenetici. Progettare case è meno effimero e stressante», conferma.
Marina è anche e soprattutto un’artista, formatasi a Brera, che mai ha abbandonato il piacere di creare con le mani, di ricreare atmosfere, sensazioni, emozioni e ricordi. Recuperare la dimora di famiglia è stato come comporre poco a poco un dipinto fatto di luci, geometrie, sfumature, inventare una nuova identità della casa mixando un pizzico di romanticismo, una manciata di ricordi e una buona dose di spirito contemporaneo, concreto e ironico. «Il principio guida», rivela Marina Sinibaldi, «è stata l’idea di ospitalità: ho voluto creare ambienti in cui le persone, sia di famiglia, sia amici e ospiti, potessero sentirsi a proprio agio, piuttosto che in soggezione per la sontuosità del palazzo».
Tutte le stanze a piano terra, sia nel corpo padronale sia nell’ala laterale, sono per il giorno: salottini, sale da pranzo, la cucina e i locali di servizio, ma anche una biblioteca e una sala denominata Archivio, con cartine topografiche e antichi documenti. Diverse di queste stanze si aprono sia sul cortile sia sull’ampio parco cintato da un muro, su cui affaccia anche la limonaia, adattata a grande stanza verandata per il relax e il tempo libero. Le camere da letto sono al piano superiore, inanellate lungo i corridoi e servite da più rampe di scale. Al livello superiore si trova un ampio sottotetto, da cui si accede alla magnifica torretta.
Seguendo la sua sensibilità di artista, la Sinibaldi ha saputo valorizzare tutti gli ambienti con l’aiuto dei colori: un verde tenue nelle stanze dell’ala affacciata sul giardino, un azzurro fresco e rilassante nella parte padronale: «Sono tinte che ho scelto osservando la luce e l’atmosfera della casa nelle giornate estive: il verde è il riflesso del giardino, l’azzurro è dato dal riverbero del sole nei pomeriggi caldi. Ma per la stanza da letto principale, posizionata al centro della casa, ho optato per un rosso aranciato, come quello di un cuore che batte». Molti dei pavimenti sono in cemento; non vi sono orpelli e anticaglie, damaschi e frange, ma ogni cosa, dal rivestimento delle poltrone al mobile antico, è valorizzata nella sua essenzialità. Gli arredi storici convivono con pezzi contemporanei firmati (Cappellini, èDe Padova), complementi etnici (Bab Anmil) e mobili low cost (Ikea, High Tech).
Il fil rouge sono le opere d’arte (firmate anche dalla proprietaria) e curiosi manufatti catturati qua e là per il mondo, infine gli animali in rete metallica e a dimensione naturale dell’artista Benedetta Mori Ubaldini; presenze poetiche e ironiche, come l’asino che campeggia in una delle sale d’ingresso: «È stata la prima opera in rete di Benedetta» rivela Marina, «e riproduce un nostro vero asino».
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