Vera Gheno: «Con le parole giuste vivremo più liberi»
Secondo il vocabolario Zingarelli, inclusività significa “capacità di includere, di accogliere, di non discriminare”. Il linguaggio inclusivo è la realizzazione linguistica di tale intento: scegliere le parole prestando maggiore attenzione alle caratteristiche delle altre persone. Benché sia diffusa la convinzione che si tratti di una moda transitoria, io penso che la nostra società stia cambiando struttura, sotto la sollecitazione di vari fattori, come la globalizzazione e internet, e che tale mutamento comporti anche una revisione delle nostre abitudini linguistiche.
A lungo abbiamo misurato il valore degli esseri umani in base alla loro distanza da una presunta “normalità” composta da una lunga serie di parametri, per esempio il maschio rispetto alla femmina, il bianco rispetto a chi ha la pelle “di colore” (come se i bianchi fossero davvero bianchi, poi), l’eterosessuale rispetto all’omosessuale, la persona cisgender (ossia che si riconosce nel sesso biologico assegnatole alla nascita) rispetto alla persona transgender, quella senza disabilità rispetto a quella con disabilità, quella benestante rispetto a quella non abbiente, eccetera. Il passaggio che ritengo necessario è da una visione normocentrica della società a quella che lo studioso Fabrizio Acanfora definisce “convivenza delle differenze”: un contesto sociale in cui ogni persona sia libera di vivere serenamente la propria diversità, e il movimento verso la convivenza sia volontario e reciproco.
L’uso dello schwa (ə), simbolo dell’alfabeto fonetico internazionale che individua il suono che sta al centro del quadrilatero delle vocali, è solo uno dei tanti esempi di linguaggio attento alle differenze: in questo caso, si tratta di un esperimento nato in seno alle comunità LGBT+ per riferirsi alle persone che non si identificano nel binarismo di genere, ossia non si sentono rappresentate né dal maschile né dal femminile, e in contemporanea per rivolgersi a una moltitudine mista nella quale potrebbero esserci anche persone non binarie: car tutt... Si tratta di un uso probabilmente destinato a rimanere “di nicchia”, ma che ha rilevanza come segnale di una diversità a oggi ignota fuori dalle comunità queer (le comunità arcobaleno, ndr).
Benché non basti nominare le differenze con più attenzione per cambiare la società, consideriamo che tra lingua e realtà esiste un intreccio molto stretto, nel quale l’una influenza l’altra in maniera circolare: la realtà cambia la lingua, certo, ma chiamare con più attenzione la realtà ci permette di inquadrarla e di comprenderla meglio, quindi di rendere noto ciò che prima era ignoto, eventualmente contribuendo a cambiare atteggiamento nei suoi confronti. I problemi sono ben altri, dirà qualcuno; ricorderei, però, che prestare più attenzione alle parole che usiamo è alla portata di chiunque ed è un atteggiamento virtuoso che può incidere sul presente nostro e delle persone che abbiamo attorno. Soprattutto, non toglie né spazio né tempo ad altre rivendicazioni, ma rappresenta un piccolo tassello di un cambiamento che di fatto permea ogni aspetto della nostra esistenza. Iniziamo, dunque, dal metterci in ascolto di chi è per qualche aspetto differente da noi: se è impossibile sapere a priori come rapportarsi con ogni possibile diversità, possiamo sempre chiedere delucidazioni alle persone stesse, per esempio per sapere come vogliano essere chiamate.
Di Vera Gheno
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