Piero Piazzi: «La moda è inclusiva, noi non ancora»
Prima c’erano le ragazze bionde, poi sono arrivate le icone di colore come Naomi Campbell, quindi le dee degli Anni 90. Ora in passerella si spazia dalle curve delle Kardashian alla transgender Lea T. Ma l’odio che emerge dai social, spiega qui un famoso manager di modelle, dimostra che è lunga la strada per accogliere ogni bellezza
Lavoro nella moda da oltre 35 anni e ho visto cambiare completamente i canoni di bellezza rispetto a quando ho iniziato. Il cambiamento è l’essenza della moda e la moda riflette la società. Negli Anni 80 c’è stata una grandissima battaglia per l’inclusione di donne di colore e per mostrare che non esistevano soltanto modelle bionde con occhi azzurri, che erano gli standard di allora. È successo grazie anche alle lotte per l’inclusione di attiviste come Bethann Hardison, un’ex modella che è arrivata ad avere un’agenzia di modelle tutte di colore e si è sempre battuta perché avessero le stesse opportunità delle altre. La moda segue la moda, se uno stilista innova, tutti gli altri lo seguono. Gianni Versace ne è l’esempio. Una volta c’erano le indossatrici, non contava tanto il viso, quanto il loro corpo che doveva essere adatto a indossare al meglio gli abiti. Nel 1992 Gianni Versace ruppe i canoni facendo sfilare in mezzo alle indossatrici una bellissima ragazza che fino a quel momento aveva fatto la fotomodella. Era Linda Evangelista e da lì cominciò una nuova era, quella delle top model dalle bellezze inarrivabili, eleganti e perfette: esprimevano il senso di ricchezza di quegli anni. La moda, però, si rinnova, si ripete e si reinventa. E per far parlare, in passerella, dalle ragazze magre ed emaciate degli anni Novanta siamo arrivati alle modelle curvy, come Paloma Elsesser, tra le prime a sfilare per Versace. Oggi tra gli stilisti c’è quasi una gara a chi ha il casting più particolare. Il messaggio che manda la moda è: siate inclusivi. Ma è nel mondo reale che c’è ancora tanta strada da fare. C’è ancora troppo razzismo e il bodyshaming è ancora forte, la parola “cicciona” è purtroppo ancora una grande offesa e gli atti di bullismo nelle scuole e sui social lo dimostrano. La moda è il sogno, il mondo reale è un altro. C’è un filo sottile tra inclusività reale e strategie di marketing, che mirano a far parlare di sé, come insegnava Andy Warhol. Pochi anni fa le ragazzine sognavano di avere la magrezza e i capelli biondi degli angeli di Victoria’s Secret. Oggi invece sognano di essere formose come l’imprenditrice Kim Kardashian e in generale amano tutto ciò che Instagram propone di questa famiglia. Ciò che conterà sempre di più è la bellezza che trasmette una personalità e il successo di Naomi Campbell lo dimostra. In generale, oggi nelle agenzie devi avere donne che rappresentano un intero universo: modelle di colore, orientali, quelle oversize e ragazze con la vitiligine come Winnie Harlow. Sono stato il primo ad avere una modella transgender, Lea T, e tutti mi davano del pazzo. «Ma non ti vergogni?», dicevano. Purtroppo non vedo ancora il vero cambiamento verso un’autentica inclusività e accettazione della diversità. Ma ciò non dipende dalla moda, bensì dall’educazione che deve partire dalle famiglie e dalla scuola. Confido in un mondo inclusivo che vedremo solo tra qualche anno, quando i bambini di oggi saranno adulti in una società multiculturale e più aperta (testo raccolto da Alessia Ercolini).
Di Piero Piazzi
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