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Grazia Buongiorno

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Paolo Stella: «Che cosa ho capito incontrando una mia “hater”»

Paolo Stella: «Che cosa ho capito incontrando una mia "hater"»

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Il creatore di contenuti digitali Paolo Stella è stato criticato durante il suo impegno come volontario per aiutare il popolo ucraino. E qui racconta la scelta di conoscere la donna che lo aveva attaccato. Perché sul web, spiega, tutti hanno una grande responsabilità: anche chi scrive parole d’odio

Lo sai già. Qualsiasi cosa tu faccia, laggiù nel web, l’hater, l’odiatore, è pronto a dare voce e a tramutare in parole la sua (spesso rabbiosa) indispensabile opinione. Mi capita da anni e da anni me ne frego, piuttosto consapevole che vivo una situazione privilegiata, faccio un lavoro che coincide con le mie passioni e mi permette di tradurre in guadagno la mia creatività.

L’attacco hater è la controprova che stai facendo qualcosa di divisivo, quindi di concreto. Chi piace a tutti, in realtà, non dispiace a nessuno perché non sta cambiando le cose. Quindi con beneplacito del mio orgoglio ferito ho imparato a fregarmene.

Ultimamente sono parecchio impegnato sul fronte umanitario. Non lo sto scrivendo per avere i complimenti di nessuno (questa cosa la faccio principalmente per placare il senso d’impotenza che provo di fronte all’orrore della guerra), ma per spiegare un fatto. I digital creator, o gli influencer, sono sempre sotto la lente di ingrandimento e, soprattutto in un periodo storico come questo, giudicati. Se non si espongono sul problema: “Ahhh! Che insensibili, con la guerra alle porte loro vanno alle sfilate!”. E se invece lo fanno: “Si espongono solo per avere visibilità, che schifo!”.

Anche qui io me ne frego e vado avanti per la mia strada.
Poi succede che chiedo una mano alle persone che mi seguono e la chiesa ortodossa del Lazzaretto di Milano, dove vado oramai da settimane ogni giorno, si riempie di donazioni: volontari che ogni giorno smistano, fanno pacchi, caricano tir per l’Ucraina. È una incredibile risposta di solidarietà che fa bene al cuore. Una sera, dopo nove ore a scaricare pacchi, chiedo alla mia community super attenta e generosa di mandarci dei tendinastro (aggeggio per utilizzare lo scotch in modo facile) dopo che una signora deliziosa si era ferita mentre cercava di strappare l’adesivo con i denti. La risposta è stata massiva. Ho pensato: “Che bello che la gente si senta così coinvolta in questa operazione umanitaria”. E invece, scandalo. Parte su Twitter una guerra dopo che tale Federica decide di pubblicare la mia foto asserendo come, sotto questa richiesta, ci fosse del marcio e che la comunicazione che sto facendo della raccolta di aiuti umanitari non la aggradi. “Comprateli morto di fame, questi sono abituati al fatto che regalano loro tutto, fate schifo!”.

Ho risposto (sbagliando, certi soggetti non vanno considerati) e ovviamente la situazione si è intensificata. Non tanto per le offese sulla mia persona, ma per l’uso della parola “marcio” nel contesto dell’operazione umanitaria che sto seguendo. Ho proposto a Federica di vederci dal vivo. E incredibilmente ha accettato. È venuta mentre scaricavo gli scatoloni. È stato un bel confronto e lei ha toccato con mano l’impegno e tutte le persone che ci lavorano. Le ho strappato anche una promessa di venire a dare una mano. È una mamma che soffre a vedere altri bambini come il suo in quelle condizioni. Continua a dire che non le piace la mia narrazione, ma dico sempre: e allora non guardarla! Il web è libero. Le ho spiegato il suo potere mediatico. Nel momento in cui un tuo post riceve tanti commenti hai una responsabilità. Ogni potere porta con sé una responsabilità. Non siamo obbligati da nessuno a esprimere un’opinione, non è indispensabile. E quando lo facciamo, chiediamoci sempre: serve a qualcosa? Migliorerà la situazione? Noi tutti abbiamo un potere e dobbiamo solo decidere di usarlo nel migliore dei modi. Soprattutto in questo periodo.

Di Paolo Stella

© Riproduzione riservata

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