Marzia Sicignano: Se l'amore dei genitori ci fa sentire in colpa
La grande sfida di ogni figlio è trovare il compromesso tra le aspettative della famiglia e i propri sogni. Qui
una scrittrice venticinquenne spiega perché la paura di deludere spesso renda impotenti i suoi coetanei
Famiglia è una parola che può significare tantissime cose. Una di quelle parole che più che altro assomigliano a un sentimento, le dai il significato di ciò che provi. Le persone fanno sempre una fatica tremenda a parlare di famiglia, a parlarne davvero. Alcuni hanno gli occhi che brillano di una luce diversa solo a cominciare la frase con “Mia madre...’’, altri improvvisamente si calano nel buio quando devono iniziare a scavare nei ricordi, e lo sguardo diventa cupo, il dolore evidente, la fatica palpabile, ma la maggior parte delle persone hanno negli occhi entrambe le cose, un’eclissi di intenti, buio più totale e luce estrema. Forse non smettiamo mai di essere bambini quando abbiamo a che fare con i nostri genitori. Ci guardano negli occhi e il nostro cuore è di nuovo esposto, la pelle un involucro sottile che ci fa sentire più forte le carezze, più forte le critiche innocenti, più forte i baci sulla fronte, più forte il peso dei loro pensieri, come se gran parte della loro felicità dipendesse da noi.
E così diventa tutto complicato, giusto? Perché se devi fare spazio tra i tuoi desideri per infilarci quelli di chi ti ha messo al mondo, fai fatica a tenerli in fila senza che si confondano, senza perdere il filo, senza capire quali ti appartengono davvero e quali siano il frutto di una spasmodica ricerca di approvazione inarrestabile e inconscia. È difficile parlare davvero di famiglia senza sentire un nodo alla gola che stringe. Difficile scavare dentro per trovare il senso di tutte le parole che non sono state dette per paura di non essere ascoltati. E mi viene in mente che tutti siamo anche le cose a cui rinunciamo, e che la paura delle aspettative, che ci soffoca fino al punto di sentirci diversi da come appariamo agli altri, comincia in un tempo indefinibile in cui c’è ancora spazio per essere se stessi, solo che nessuno sa davvero come fare.
Sento tante cose sulla mia generazione, discorsi semplicistici che ci riducono a stupidi senza voglia di fare, ma abbiamo perso la bussola molto tempo fa e non è colpa nostra. Malati di apparenza che non sanno uscire di casa senza indossare una maschera, ma è un mondo che ci hanno consegnato, quello in cui dobbiamo dimostrare di meritare di esistere, e non è colpa nostra. Non che sia colpa di qualcuno e forse è questo il punto. Desideriamo più di tutto essere ascoltati, a volte parlare con i nostri genitori è faticoso ancora prima di mettere in ordine le parole. Cominci a chiederti se ha senso aprire bocca per sentire il solito peso dentro, quello che trasforma l’amore in senso di colpa, e poi in uno spirito di rivalsa che forse più di tutto è rabbia. Desideriamo più di tutto essere compresi, con i nostri limiti, i difetti e i sogni già infranti, desideriamo essere accolti e ci sono giorni in cui desideriamo tornare bambini davvero, giorni in cui ne abbiamo un disperato bisogno. Perché ci sentiamo inadatti per la maggior parte del tempo, è come se fossimo nati con la paura di deludere incorporata, di dire sempre la frase sbagliata, e che quello che facciamo, sentiamo e pensiamo sia sbagliato.
Ma forse non si tratta solo della mia generazione. Forse è sempre stato questo, essere giovani: dover imparare da soli a dare spazio ai desideri solo nostri, trovare un’identità in mezzo al trambusto. Non è un viaggio semplice, e non è colpa nostra. Non esiste guerra generazionale senza feriti.
Di Marzia Sicignano
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