Luca Trapanese: «Alba mi ha mostrato la magia di una famiglia»
L'aspetto delle cose varia secondo le emozioni; e così noi vediamo magia e bellezza in loro, ma, in realtà, magia e bellezza sono in noi». Sono parole del poeta libanese Kahlil Gibran. Questa assonanza tra noi e la bellezza è a volte salvifica per chi, la propria bellezza, non la vede riflessa (solo) nello specchio. La bellezza non è un accessorio né un orpello. La bellezza restituisce dignità alle persone quando è dato loro l’accesso a essa, ai luoghi quando non vengono abbandonati. La Bellezza ci spinge a volare più in alto con il pensiero, con le aspirazioni.
La Bellezza per me non è mai stata sinonimo di perfezione. Quando inseguiamo ideali di perfezione neghiamo ogni eccezionalità, ogni pezzo di realtà nuovo, non consueto. L’unicità si perde così davanti ai nostri occhi, continuamente esposti a immagini e forme irreali e tutte uguali. Spesso siamo spaventati dall’altro diverso da noi. Miriamo a “essere-come”, senza soffermarci sull’irripetibilità e sulla nostra diversità intrinseca: il nostro valore. La diversità è un valore. Siamo esseri unici, diversi e meravigliosamente imperfetti.
Non mi sono mai sentito speciale, ho sempre fatto tutte le mie scelte mosso da un’energia a volte inspiegabile anche per me. Il contatto con la malattia, con la disabilità, per me è sempre stato un fatto naturale e spontaneo e non mi sono mai sentito un eroe per questo. Penso che ciascuno di noi possa (e debba) imparare a non aver paura della diversità perché è così che impariamo a comprendere e soprattutto a“sentire” la vera ricchezza. La perfezione ci schiaccia e ci inchioda in una dimensione inautentica che può solo renderci infelici. La mia storia è la storia di una persona che, come tutte, ama, sceglie e soffre. Anche il mio desiderio di paternità è stato molto naturale, un istinto forte e vitale. L’orientamento sessuale è un fatto accessorio e non centrale ovviamente. Durante tutta la mia vita sono stato accanto alle persone disabili, me ne sono preso cura, e loro si sono spesso presi cura di me. Sono stati la mia “cura”. Ho imparato ad accogliere le mie e le altrui imperfezioni come ricchezza e non come vergogna. Quando ho deciso di adottare un bambino per me non era importante che fosse disabile o meno.
Quando ho preso Alba in braccio per la prima volta mi sono sentito suo padre e ho sentito che lei era mia figlia. Niente altro. Né mi sono accontentato né mi sono immolato. Di certo avevo gli strumenti per affrontare la situazione, ma come ogni genitore mi sono chiesto: “Da dove comincio?”, “Come farò?”, “Che cosa ne sarà di Alba quando non ci sarò?”. E poi mi sono buttato, come faccio sempre, con la determinazione di chi crede in se stesso, negli altri e anche in Dio. Ma gli interrogativi e le paure li conosco e li comprendo bene e so che molti genitori con figli disabili (ma non solo) si sentono soli, non hanno una rete né un sostegno. Per questo ho deciso di raccontarmi, perché credo fermamente nella condivisione e perché credo che ci sia un forte bisogno di affermare la bellezza della diversità e delle imperfezioni. Bisogna far conoscere la diversità anche attraverso messaggi positivi, senza nascondere le difficoltà ma anche raccontando la gioia, la ricchezza di una vita imperfetta. Perché è dalle crepe che entra la luce.
Di Luca Trapanese
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