Karen Ricci: «Noi, maschiliste inconsapevoli»
Women empowerment, inclusività, body positivity sono parole diventate così popolari che c’è chi dice che l’emancipazione femminile sia ormai una realtà concreta e che il sessismo sia qualcosa di superato, un lontano ricordo dei tempi delle nostre nonne. Invece in Italia (e nel mondo) la parità di genere è ancora un miraggio e la cultura maschilista una presenza costante nelle nostre vite. Basta pensare alle battute sessiste che ascoltiamo ogni giorno, alle fastidiose molestie per strada, ai dati sulla disoccupazione femminile, alla violenza domestica e via dicendo.
Non c’è via di scampo, il sessismo quotidiano colpisce tutte e chi lo nega è distratta o sta mentendo. In fin dei conti non è difficile riconoscere il capo che non ti lascia parlare in una riunione, il meccanico che si rivolge direttamente al tuo compagno o l’autista che ti urla dal finestrino della macchina. Eppure, dietro questo limpido e chiaro scenario di machismo, si nasconde un’altra categoria di maschiliste (in)consapevoli, una specie di cavallo di Troia dentro casa, e tante volte dentro noi stesse. La prima volta che mi sono guardata allo specchio e detto ad alta voce: “Cara, sei maschilista!”, mi sono sentita un po’ ridicola. Dopotutto, sono sempre stata indipendente ed emancipata, non ho mai pensato di rinunciare a niente per il fatto di essere nata femmina e non mi ha mai sfiorato l’idea che gli uomini fossero superiori a me. Ironicamente provavo uno strano fastidio quando arrivava una collega più giovane e più carina di me al lavoro: due caratteristiche del tutto irrilevanti per lo scopo professionale. In svariate situazioni ho guardato male una ragazza troppo svestita (o troppo sciatta) e mi sono sentita speciale quando l’uomo di turno mi diceva che ero diversa dalle altre donne. In pratica mi comportavo come una vera e propria maschilista, confermando tutti gli stereotipi che ero sicura di rifiutare.
In effetti, anche noi diamo una grossa mano a tramandare la cultura sessista. Ma che cosa ci spinge a ripetere gli stereotipi che ci tengono ingabbiate in un modello di donna ormai superato?
Farmi questa domanda mi ha fatto capire che le donne non sono “più maschiliste degli uomini”, come si usa dire. Semplicemente siamo state arruolate per fare da garanti e giudici in questo gioco di potere, con la promessa di rimanere al sicuro. Come riconoscimento per questo prezioso lavoro ci hanno regalato dei cioccolatini, ci hanno aperto lo sportello della macchina e portato le mimose per la Festa della donna, un affarone, no?
Ma distrattamente non abbiamo letto le minuscole letterine a fine contratto. Quando una donna condanna il comportamento sessuale di un’altra donna sta censurando la propria sessualità. Quando giudica la scelta dell’altra di non volere bambini sta limitando la propria esistenza al ruolo di madre. Quando mette in discussione la competenza della collega in base alla misura della gonna sta dichiarando che la capacità femminile è misurabile dall’abbigliamento che indossiamo. Quando dice che le donne sono rivali per natura, ignora il fatto che non dovremmo competere tra di noi per un unico premio (sia il Principe Azzurro o l’unica posizione lavorativa disponibile) e che la competizione femminile è una delle strategie più riuscite della cultura patriarcale. È forse arrivato il momento di dare le dimissioni dal ruolo di guardia del maschilismo: non siete d’accordo?
Di Karen Ricci
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