Sono una ragazza transgender a cui si è chiuso il canale vaginale. È una di quelle seccature che a una donna trans possono capitare, ma mi dispiace quando ne parlo e mi danno della poverina o provano pena per me, come fosse un grave limite: un limite è un limite soltanto se percepito come tale, questo ho imparato crescendo. E in questi ultimi anni il mio corpo mi ha permesso comunque di amare e di lasciarmi amare, con o senza vagina.
La mia prima riattribuzione del sesso è stata fatta in Italia, un vero disastro (ci ho scritto anche un libro). Dopo due anni, per riaprire il canale, questo febbraio sono volata all’estero in direzione Bangkok, Thailandia: avevo lo stomaco sconquassato dagli antibiotici, ma è andato tutto bene, l’operazione è stata un successo. In quel momento ero così felice che ho deciso addirittura di tornare in Italia un paio di giorni prima del previsto.
La cura da fare a casa consiste nel tenere aperto il canale con delle dilatazioni due volte al giorno, per un’ora ciascuna, per il successivo anno e mezzo. I miei amici si lamentano e mi prendono in giro dicendomi che non faccio altro che parlare della mia vagina e di dilatatori (esperta vera).
Un giorno non sto bene, perdo sangue. Faccio tutto come prima eppure qualcosa è cambiato. Preoccupata, mi muovo subito per cercare uno specialista. Avevo sentito parlare di un medico italiano in particolare, ma la prima visita disponibile me l’avrebbero data troppo tempo dopo. Mi calmo, chiamo il mio dottore e mi consiglia di recarmi al pronto soccorso ginecologico. Non mi sono mai fatta vedere da un ginecologo, questo genere di interventi di solito vengono fatti da urologi o andrologi, ma il mio medico insiste: «Hai una vagina e c’è bisogno di uno speculum». Chiamo un taxi.
Piove. Se c’è una cosa che odio più di me stessa è la pioggia, ma a Bologna non piove da mesi e col riscaldamento globale è meglio che capiti più spesso e il più a lungo possibile. Sto ringraziando per la pioggia e la mia vagina perde sangue, se tornassi indietro nel tempo e raccontassi certe cose alla me sedicenne non ci crederebbe mai. Il tassista mi sveglia dai miei pensieri: «Vai da sola?».
Arrivo e suono il citofono per le prenotazioni, all’accettazione sono gentilissimi. Nella sala mi siedo sul mio cuscino a ciambella (salvavita per chi ha fatto questo tipo di operazione) e aspetto il mio turno. Quasi tutte le persone in attesa sono coppie, quelle più giovani si stringono, una ragazza piange e si siede sul suo ragazzo. Altri due iniziano a litigare e vanno via. Passano quattro ore e finalmente è il mio turno.
Mi fanno sedere, mi chiedono che succede e mi commuovo. La ginecologa e la dottoressa che la assiste mi invitano a sdraiarmi sul lettino per controllarmi, mi dicono che è tutto ok, avere delle perdite facendo le dilatazioni è normale. Codice bianco, in tutto fanno 25 euro. Mi ha scritto il mio migliore amico, viene a prendermi fuori dal pronto soccorso e mi porta delle pizzette, che oggi ho anche saltato il pranzo. Ha smesso di piovere.
Di Josephine Yole Signorelli
Photo Credits: Marco Mastroianni
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