Giulia Lamarca: «Non è un Paese per le madri in sedia a rotelle»
Sapete qual è la prima cosa che ho chiesto quando anni fa ho avuto il mio incidente stradale, appena riaperti gli occhi dopo l’operazione? «Dottore, posso ancora avere figli?». Se c’è una cosa che ho sempre saputo della mia vita era il fatto che avrei voluto fare la mamma. Sì, lo so, al giorno d’oggi sembra strano, ma è così. Ho avuto una meravigliosa madre casalinga e a tempo pieno, non per obbligo, ma per scelta e mi ha fatto sempre pensare: “Lo farò anch’io”. La risposta del dottore, comunque, è stata sì, potevo avere figli. La vita invece mi ha fatto sudare anche questo traguardo. Come? Quante donne e mamme sulla sedia a rotelle incontrate? Quante madri con disabilità conoscete? Immagino poche. Perché una donna con disabilità nel diventare madre deve confrontarsi, oltre che con se stessa, anche con una società che non è minimamente pronta a lei e al suo bimbo che arriverà.
Gli studi ginecologici che sono competenti su gravidanze e disabilità sono inesistenti, a Torino abbiamo un’unica ginecologa referente e ha uno sportello aperto solo una volta al mese. Se per qualche motivo non puoi quel giorno o è pieno, si passa al mese dopo e a quello dopo ancora. E poco importa se chiami e sei già incinta, perché per le donne con disabilità il giorno a disposizione è solo uno al mese. Pensate stia scherzando?
Be’ no, ci sono passata due volte, tra le litigate allo sportello e i pianti per supplicare che una visita non andasse oltre i due o tre mesi di attesa. E se chiedi spiegazione del perché, ti dicono: «Abbiamo solo una sala attrezzata per te». Nel concreto significa un lettino che sa fare su e giù, di cui in genere qualsiasi clinica o studio privato dispone per i suoi clienti. Ma i problemi non sono solo questi: nel momento in cui trovi un ginecologo disposto a prenderti in carico, hai a che fare con specialisti che, non conoscendo bene la tua patologia, rischiano di sottovalutare tantissime cose. E tu ti ritrovi continuamente al telefono per essere sicura che a nessuno sfugga niente.
Ho avuto da poco una bimba. E per quanto io sia felice, sono anche triste nello scrivere queste parole che a tutti gli effetti sono una denuncia. Dovrebbe essere un diritto andare dal ginecologo da sole in autonomia, vedere rispettata la propria intimità e dovrebbe essere un diritto scegliere o meno una gravidanza. Ma quando si tratta di persone con disabilità gli abusi di potere, a mio avviso, rischiano di essere dietro l’angolo. Oppure c’è qualcuno che sottovaluta le tue richieste, come quando dici: «Guarda che adesso che sono incinta non sono autonoma per andare in bagno da sola», ma ti fanno andare da sola e cadi, e poi ti guardano come se fossi un’imbranata. O qualcuno che, invece di risponderti in maniera clinica se puoi o meno avere un figlio, ti dice: «Ma è sicura di mettere al mondo un figlio? Poi come farà?».
Che cosa voglio dire con questo articolo? Che nonostante sia sempre un tema molto delicato e personale, quando si tratta di persone con disabilità tutti sembrano avere il diritto di dire la propria opinione e di dare consigli e giudizi non richiesti. Come quando ti dicono: «Compra quel passeggino perché è il migliore», e tu sei in carrozzina e nemmeno arrivi alle maniglie di quel passeggino. O quando ti spiegano: «Fai addormentare il bambino camminando», e tu li guardi pensando che sia un pessimo consiglio, dato che tu non cammini. Tutti parlano in modo irrazionale, ma non si tratta di gaffe, che io solitamente perdono, spesso sono frasi mirate a dire che “tu non puoi”.
Si può guarire questo mondo? Sì, ci credo. Però serve schiettezza, serve dire e ammettere come siamo ancora messi oggi. E oggi siamo ancora lontani dal dare un trattamento paritario a una madre disabile rispetto a una madre normotipica.
Di Giulia Lamarca
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