Francesca Florio: «Dobbiamo fermare chi distrugge vite sul web»
le donne offrendo le loro immagini a un pubblico spietato. L’esperta di Rete e diritto Francesca Florio spiega qui come combattere questa violenza
Negli ultimi anni non è affatto infrequente imbattersi in articoli di cronaca e servizi televisivi che riportano episodi di "revenge porn". Con questo termine ci si riferisce, nello specifico, alla diffusione non consensuale di immagini o video sessualmente espliciti da parte di un ex partner allo scopo di danneggiare la vittima e distruggerne la reputazione. Tuttavia, tale dicitura viene spesso erroneamente utilizzata per riferirsi a ogni tipo di diffusione illecita di materiale intimo, attuata da qualsiasi soggetto per raggiungere i più diversi scopi.
Dato che nella maggioranza dei casi la divulgazione delle immagini avviene attraverso la rete e i social network, i danni per le persone offese assumono dimensioni inimmaginabili. In pochi secondi l’istantanea di un momento intimo e privato raggiunge centinaia di migliaia di sconosciuti, i quali ne diventano padroni e hanno la possibilità di salvarla e inoltrarla a loro piacimento, alimentando così un circolo di violenza e umiliazione potenzialmente infinito.
Parliamoci chiaro: il danno non consiste unicamente nell’esposizione delle immagini, bensì nella reazione che tale esposizione suscita nel pubblico – spesso annoiato e perciò forcaiolo – del web, pronto ad additare la vittima e accanirsi su di lei anche per mesi e mesi. A tutto questo inoltre si aggiunge che, spesso, insieme con le immagini vengono divulgati anche i dati personali delle persone ritratte (attraverso il cosiddetto doxing) tra cui anche indirizzi e numeri di telefono. In questo modo la persecuzione si tramuta da virtuale a reale.
Le vittime di condivisione non consensuale di immagini intime subiscono una vera e propria reificazione da parte degli spettatori, diventano, come dice il termine stesso, oggetti pornografici, icone bidimensionali destinate a soddisfare gli istinti più bassi della folla, istinti che passano dal desiderio di scherno alla manifestazione oscena di concupiscenza.
Come si può immaginare, la pericolosità della diffusione non consensuale di immagini intime è data soprattutto dalla viralità che in pochissimo tempo questi contenuti assumono. Un ruolo importante in tale meccanismo è giocato, spesso quasi inconsapevolmente, da tutti coloro i quali ricevono il materiale in gruppi WhatsApp o in altre chat, e, senza neppure sapere da dove provenga, lo inoltrano quasi istintivamente ad altri ancora, giusto per farsi una risata, o come si suol dire “per goliardia”. È spesso infatti la superficialità, più che la cattiveria, a risultare fatale. Oggi non ci si può più appellare all’ignoranza, chi contribuisce alla diffusione di pornografia non consensuale è complice (almeno moralmente) di colui che per primo ha divulgato il materiale allo scopo di distruggere la vita della vittima.
Troppe volte infatti abbiamo assistito alla banalizzazione del dolore e della violenza inferte e dell’umiliazione di donne e ragazze innocenti diventate incolpevolmente dei Meme da internet, la cui intimità è stata data in pasto alla folla di voyeuristi del web. La cronaca ci ha tristemente insegnato quali siano le conseguenze per le vittime di questa insidiosa forma di abuso ed è per questo che la “buona fede” e la “leggerezza” non costituiscono una giustificazione. Le parole d’ordine per combattere questa forma di abuso sono tre: comprendere, prevenire e curare. La conoscenza non solo rende liberi, ma anche più forti.
Di Francesca Florio
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