Micaela Ramazzotti: «La sincerità è il mio miglior difetto»
Nel film La tenerezza Micaela Ramazzotti è dolce, scombinata e, come sempre anche nella vita vera, senza filtri. Così, quando Grazia le ha chiesto del rapporto con suo marito, il regista Paolo Virzì, e della sua sintonia con la sua partner più famosa, Valeria Bruni Tedeschi, l’attrice ha risposto nel modo che preferisce: sorprendendoci
Alla fine dell’intervista, quando andiamo a recuperare le rispettive auto e solidarizziamo con un sorriso colpevole trovandole entrambe multate per sosta vietata, dell’attrice Micaela Ramazzotti mi restano alcuni dettagli che inquadrano il personaggio: i grandi occhi un po’ malinconici e perfettamente truccati («Ma ci ho messo un minuto», minimizza), i rossori infantili, le interminabili gambe esaltate da un paio di shorts, il caschetto castano che ha sostituito la chioma bionda e fatale regalandole un’aria insolita da maschiaccio chic.
Ma a colpirmi di più è stata la sua sincerità senza filtri.
«Sono troppo enfatica?», mi ha chiesto Micaela dopo avermi parlato a cuore aperto delle passioni della sua vita, il cinema e la famiglia, della sua adolescenza ribelle funestata dai complessi, delle sue insicurezze, dei suoi sogni.
E al termine della nostra chiacchierata in un piccolo bar di Roma ha aggiunto con una punta di preoccupazione: «Mi sono spiegata bene?».
L’ho rassicurata: non mi è parsa mai “sopra le righe” e credo di aver capito, se non tutto, molti aspetti della sua personalità e del suo talento che la porta a interpretare con l’identica sensibilità a fior di pelle sia i personaggi comici, come l’improbabile cardiologa nella commedia di Carlo Verdone Posti in piedi in paradiso, sia quelli struggenti come la mamma depressa nel premiatissimo film La pazza gioia di suo marito Paolo Virzì.
C’è molta attesa, ora, per La tenerezza, diretto da Gianni Amelio in cui Micaela, accanto a Giovanna Mezzogiorno ed Elio Germano, interpreta una donna un po’ scombinata, ma ricca di energia, umanità e dolcezza.
Per capire questa attrice che ha dedicato 25 dei suoi 38 anni al lavoro, cominciando a interpretare i fotoromanzi da adolescente e diventando poi una star del cinema d’autore, basta captare le sue emozioni: quando parla, infervorata e concentrata sulla scelta delle parole, volteggiano come farfalle riempiendo lo spazio intorno a lei.
La fede nuziale che, unico gioiello, brilla all’anulare sinistro testimonia, invece, la sua realizzazione nel matrimonio e nei figli, Jacopo di 7 anni e Anna di 4, avuti da Virzì, sposato nel 2009.
«Ho appena finito di girare un altro film, La famiglia di Sebastiano Riso», mi racconta Micaela. «Per mesi non mi sono fermata un secondo e ora sono felice di essere libera per un lungo periodo: lo dedicherò a ristrutturare il nuovo appartamento in cui contiamo di trasferirci presto».
Quanto è importante per lei avere una casa grande e confortevole?
«Moltissimo. È la rappresentazione concreta della stabilità. Il nostro primo nido, in una zona appartata di Roma, è stato quello in cui viveva Paolo da single: lì è nato Jacopo. Nella seconda casa sono rimasta incinta di Anna. Ora avremo una base definitiva, staremo più comodi e felici. La famiglia è la condizione in cui mi sento più libera».
Ma non le capita mai di provare il desiderio, comune a tante mamme, di evadere almeno per un attimo dalle responsabilità quotidiane?
«No, non mi è mai successo. Non conosco la voglia di fuggire: tra le pareti domestiche sto benissimo. Questo non significa che non mi ritagli i miei spazi: un caffè con le amiche, una serata a teatro senza marito. Ma l’idea di avere, al di là del lavoro, una vita familiare normale, fare amicizia con le mamme degli amichetti dei miei figli o preparare la merenda per una banda di bambini scatenati mi procura un senso di benessere. È questa la libertà di cui non posso fare a meno».
Ed è questa la vita che sognava o il destino ha deciso per lei?
«Non ho mai aspirato a vivere da nomade, senza radici, come tanta gente dello spettacolo. Già da piccola avevo le idee chiarissime: volevo fare l’attrice e sposarmi. Sognavo una famiglia unita e affettuosa come quella in cui sono cresciuta. Oggi, alzarmi ogni mattina prima delle 7 per portare i bambini a scuola e ritrovare la sera il tepore della nostra intimità, mi sembra la mia più grande conquista».
Ha sposato un regista famoso che ha 15 anni più di lei: si arrabbia quando considerano Virzì il suo Pigmalione?
«Siamo diversi, per età e provenienza, ma tra noi c’è uno scambio alla pari. Lui mi regala la sua esperienza e la sua sicurezza, io lo ricambio con la mia giovinezza e i miei stupori. Quando mi sono innamorata di lui, all’epoca del film Tutta la vita davanti, ho capito immediatamente che era l’uomo per me e l’ho voluto con tutta me stessa. Siamo cresciuti insieme e il nostro amore si costruisce giorno dopo giorno. Paolo è un patriarca, sia sul set sia nella vita. E non ha perso la curiosità, è un uomo molto aperto. Mi ha insegnato a essere meno diffidente».
Ha dovuto esserlo per difendersi?
«Proprio così. Ho cominciato a lavorare prestissimo e sono cresciuta guardandomi intorno come un gatto per fiutare il pericolo e trovare la mia strada. Sono nata in una famiglia semplice, in un quartiere alla periferia sud di Roma, l’Axa, di cui mi sono a lungo vergognata perché non era alla moda come Trastevere. Ma l’esperienza ai margini mi ha forgiata, mi ha resa una donna solare e determinata. Comunque, ancora oggi ci metto un po’ a fidarmi delle persone».
Mi sono sempre chiesta da dove venisse la malinconia che rende i suoi occhi così espressivi e “cinematografici”.
«Viene da lontano. Fa parte di me, c’è sempre stata. Ma questo stato d’animo, che mi ha resa infelice da adolescente, l’ho poi portato in dote ai miei personaggi. Regalare al cinema i miei difetti è un modo per esorcizzare gli antichi complessi. Non a caso interpreto spesso donne fragili, messe all’angolo, vessate dagli uomini, calpestate dalla vita».
Ma perché da ragazza era infelice?
«Mi sentivo insicura. Inadeguata. Sono stata bullizzata. I ragazzini possono essere crudeli e violenti: quelli del mio quartiere prendevano in giro la mia magrezza, dicevano che il mio seno piccolo sembrava una tavola da surf».
« L’esperienza ai margini mi ha forgiata, mi ha resa una donna solare e determinata »
Posso chiederle se ha avuto la tentazione di guadagnare qualche taglia con l’aiuto del chirurgo?
«No, mai. Mi piaccio come sono e detesto l’idea dei ritocchi. La Micaela giovanissima non c’è più e ho l’ansia di scoprire come diventerò quando le prime rughe si manifesteranno. La prospettiva di invecchiare non mi spaventa, anzi mi dà una sensazione di sicurezza».
Le capita ancora di sentirsi inadeguata?
«A volte faccio fatica a concentrarmi. Dev’essere il retaggio del mio passato di pessima scolara. Studiare era per me una fatica bestiale. Così marinavo la scuola, rubavo nei grandi magazzini, giocavo a biliardo in una bisca. Nel sottoscala di casa mi toglievo le gonne a pieghe da brava bambina per mettere le calze a rete e i tacchi. Povera mamma, gliene ho fatte di tutti i colori. Poi, con il lavoro, è cambiato tutto: quando leggo un copione o recito ritrovo l’attenzione. Il cinema si è rivelato la migliore terapia».
Che sentimenti prova quando si rivede adolescente, lanciata alla conquista del lavoro e del mondo?
«Una grande tenerezza. Sono stata coraggiosa a fare tutto da sola senza mai scoraggiarmi. La voglia di essere attrice l’ho avuta prestissimo: già a 4-5 anni mi travestivo e parlavo per ore davanti allo specchio. Non avrei potuto fare altro, nella vita. E oggi sul set voglio dare tutto, senza risparmio. Sono felice quando il regista mi fa i complimenti e torno a casa estenuata, prosciugata dal mio personaggio. Ho ancora il fuoco dentro».
Il suo mestiere è fatto di alti e bassi: come ha affrontato le difficoltà?
«I momenti duri sono stati tanti. Ma ho stretto i denti. Non ho mai mollato. A 17 anni, dopo aver girato il film La via degli angeli di Pupi Avati, ho avuto un buco nero: niente lavoro per mesi. Per mantenermi ho interpretato una soap, Cuori rubati, poi sono andata a fare la cameriera a Londra. L’incontro con il mio agente Luca Di Nardo e il film Non prendere impegni stasera di Gian Luca Maria Tavarelli mi hanno rimessa in pista. E mi sono inventata il personaggio della svampita».
Mi tolga una curiosità: ha tagliato e scurito i capelli per lavoro?
«All’inizio l’ho fatto per il regista Gianni Amelio, che al primo incontro mi ha abbracciata forte e mi ha suggerito di eliminare i boccoli dorati che avevo nel film di Cristina Comencini Qualcosa di nuovo. Poi, dopo le riprese di La tenerezza, ho lasciato il caschetto scuro: è la mia rivincita contro la bionda comica e svalvolata che ho interpretato tante volte, ma solo per piacere agli altri. Ho finalmente recuperato il maschiaccio che è in me».
E nel film di Amelio che ruolo ha?
«Sono una donna un po’ distratta ma piena di sentimento che aiuta l’anziano vicino di casa (l’attore Renato Carpentieri, ndr) a uscire dall’isolamento emotivo. Tra di noi si stabilisce un legame fatto di confidenza e tenerezza. Durante le riprese mi sono sentita accolta e amata. A pensarci mi vengono i brividi».
E come si è trovata con Valeria Bruni Tedeschi, l’altra bravissima protagonista del film La pazza gioia? Mi risparmi frasi come: “Ci siamo amate fin dal primo momento”.
«Infatti non è andata così. Paolo ci ha messe insieme perché eravamo giuste per il film. Ma siamo diverse e non siamo diventate amiche. È stata dura: lei era la mattatrice e doveva esplodere, io ero tenuta a stare un passo indietro. Bisticciavamo e ci riavvicinavamo in funzione dei nostri personaggi. Ma resto legatissima a quel film che mi ha permesso di crescere, facendomi conoscere e rispettare la malattia mentale».
Se sua figlia volesse diventare attrice, che cosa le direbbe?
«Di fare le cose con estrema serietà, ma glielo suggerirei per qualunque altro lavoro. Le raccomanderei di trovare dei maestri: io, che non li ho avuti, li ho cercati in tutti i registi che mi hanno diretta».
Quando pensa a se stessa tra 10 anni, che cosa si augura?
«Di viaggiare. Ho voglia di partire con uno zaino, mio marito e i bambini: Estremo Oriente, Cuba, Sud America. Lavoro da così tanti anni che non ho visto quasi nulla del mondo. È venuto il momento di recuperare per imparare cose nuove. E sentirmi meno inadeguata».
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