Lily Collins: «Sono libera da quella fame»
Lily Collins da ragazza provò a dimagrire fino al punto di star male. Ma guarire non le è bastato: «Volevo rompere il silenzio e dare speranza a tutte le donne come me», dice. E a Grazia racconta come l’ha fatto: con un libro e un film in cui affronta, ancora una volta e senza paura, la malattia
Senza filtri: nessuna vergogna, nessun rimorso, semplicemente io”. È la traduzione letterale del titolo del romanzo Unfiltered: No Shame, No Regrets, Just Me, scritto dall’attrice 28enne Lily Collins. Si può acquistare online per circa 9 euro e io l’ho fatto, prima d’incontrarla, per capire che cosa ci sia dietro la patina della diva in ascesa dalle sopracciglia folte che abbiamo visto brillare in successi amati dal pubblico come Biancaneve e Scrivimi ancora.
Mi aspetto la storia della principessa che corona i suoi sogni di bambina, mi ritrovo il flusso di coscienza su carta di una ragazza che ha lottato tanto. Per un corpo, il suo. Maltrattato, rifiutato, combattuto, sottoposto ad allenamenti ossessivi per smaltire le abbuffate oppure privato del cibo.
Un malessere non solo fisico, che la figlia del musicista Phil Collins ha scelto di raccontare apertamente. Ma la catarsi su carta non bastava. Per liberarsi di un fantasma davvero bisogna tirarlo fuori e affrontarlo. Fa esattamente questo Lily quando accetta di interpretare la protagonista del film To the Bone – Fino all’osso (dal 14 luglio su Netflix). Sceglie di rituffarsi in quell’inferno fino all’osso, appunto, sottoponendosi a una dieta ferrea per calarsi nei panni di Ellen, teenager desiderosa di vedersi più bella, più magra, talmente ossessionata da questo pensiero da arrivare al punto di rifiutarsi di mangiare.
La spediscono in una clinica con altri ragazzi che soffrono dei suoi stessi disturbi e sono seguiti da un medico anticonvenzionale interpretato da Keanu Reeves. Dalla finzione alla vita reale, Lily ha davvero sofferto di anoressia da adolescente. La magrezza è rimasta, da vicino si nota bene la vita stretta dei pantaloni che indossa. La guardo, malgrado tutto sembra uscita da una fiaba. Maglia rosa in tinta con lo smalto, frangia, chignon, un filo di trucco e un fiocco in vita.
A fine chiacchierata mi sarà chiaro: Lily è davvero uscita da una favola, ma una di quelle colme di ossessioni e spettri, superati i quali è riuscita a diventare la ragazza determinata che è oggi.
Partiamo dal libro: perché lo ha scritto?
«Volevo raccontare tutti i tabù che affliggono le ragazze e che loro stesse non ammettono. Affronto tanti argomenti delicati di cui non avevo mai voluto parlare in vita mia. Quando mi facevano domande evitavo, erano temi e questioni che preferivo schivare. Un giorno ho iniziato a esternare e a raccontare. È stato come tenere un diario, solo che, alla fine, l’ho pubblicato».
Come si è sentita?
«È stato rigenerante: per la prima volta ho realizzato di non essere sola. Ed è questo il senso del libro: non far sentire abbandonate a loro stesse le ragazze che magari stanno attraversando l’inferno proprio come è capitato a me. Quando porti in superficie quello che nascondi anche a te stessa, capisci che hai anche la forza di restare a galla. E fai capire a chi legge che sono cose di cui si può discutere come disordini alimentari, relazioni, rapporti con i genitori, insicurezze, tutte quelle cose di cui ci sentiamo a disagio a parlare e che io ho voluto mettere per iscritto proprio per dire chiaro e forte a tutte: ragazze, è assolutamente ok parlarne».
Dal libro al film To the Bone: c’è una connessione o è stata una casualità?
«Ho scritto il capitolo sulla mia personale esperienza di disordine alimentare una settimana prima di ricevere la sceneggiatura del film. È stato un segnale, come se l’universo mi stesse dicendo: è la strada giusta, continua a esprimere quello che hai dentro, portalo alla luce. Ho continuato ad approfondire il tema dei disordini alimentari: portare avanti in parallelo l’elaborazione del personaggio e la scrittura del libro per me è stato un processo costruttivo. Mi ha fatto bene. Anzi, è la cosa più rivoluzionaria che abbia fatto in vita mia».
Le prime reazioni delle lettrici?
«È stato emozionante scoprire quante storie simili alla mia ci fossero. Sapere che non sei l’unica che affronta questi problemi e non sentirti sola è fondamentale per guarire».
Per interpretare la protagonista di To the Bone ha dovuto di nuovo perdere peso. Dopo quello che aveva già passato, è stato difficile affrontare la bilancia?
«Non è mai facile cambiare fisicamente per esigenze di copione, ma io volevo tornare a quello che avevo provato e sentirmi vicino a una 17enne che soffre di problemi di alimentazione. L’importante, però, era non difendere la magrezza eccessiva e raccontare il dolore che io stessa ho vissuto in prima persona. Tante volte mi sono detta: “Lily, coraggio, vai a fondo con il lavoro su questo personaggio”. Spero con tutto il cuore di esserci riuscita».
Dal film alla vita reale: saprebbe dirmi oggi come si sente?
«Come una ragazza di 28 anni che ha superato un momento difficile legato all’adolescenza. Una che vuole una famiglia tutta sua, un giorno, e che di certo non desidera più tornare nel buio. Mi sento libera, così libera oggi che mi emoziono anche solo a parlarne».
Che cos’altro la fa sentire libera?
«Passeggiare all’aria aperta, starmene seduta al lago, accarezzare l’erba con le dita. Respirare. Sentire che la vita mi sorride. Sono cresciuta nella campagna inglese, circondata dalla natura. Da piccola me ne stavo sempre fuori, in giardino, poi mi sono trasferita a Los Angeles. Un’altra vita. Ancora oggi, appena posso, scappo in campagna, perché sento il bisogno di spazi aperti. E ogni volta torno a casa molto più felice e rilassata».
Nel film Okja l’abbiamo vista nei panni di un’agguerrita attivista animalista: posso chiederle se è vegetariana?
«No, non lo sono. Vado pazza per il pesce e, ogni tanto, mi concedo un po’ di pollo. Okja è stata un’esperienza incredibile, perché ho avuto accanto Tilda Swinton, che adoro e ammiro».
Torniamo all’attivismo: sente mai il peso, da personaggio pubblico, di essere un modello per le ragazze?
«Non ci penso, ma credo che sia un privilegio, non un peso. Il mondo dello spettacolo non serve solo a intrattenere, ma anche a far pensare. In questi anni credo che sia diventato sempre più importante che la mia generazione faccia sentire la sua voce, invece di accettare tutto passivamente. C’è bisogno di attivarsi, di agire: per fortuna vedo sempre più ragazzi e ragazze, non solo nel mondo dello spettacolo, che hanno davvero voglia di fare la differenza».
E poi ci sono molte donne della sua generazione che si battono per la causa femminile, chiedendo a Hollywood più ruoli per le ragazze e salari alla pari dei colleghi maschi.
«Penso che sia un buon momento per le ragazze: finalmente abbiamo bei ruoli a tutto tondo. Esistono già sceneggiatori e registi pronti a raccontare il nostro punto di vista, a narrare storie al femminile: c’è ancora tanto da lavorare, ma siamo sulla buona strada».
E quando non lavora, che cosa fa?
«Adoro leggere e soprattutto viaggiare, condividere avventure con i miei amici di sempre».
Che tipo di avventure, Lily?
«Tutte. Anche guardare un tramonto, giocare a bowling, magari uscire e andare al pub. Le sembreranno attività ordinarie, ma le assicuro che per me quella è la vita».
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