Fotogallery Camouflage: il trend che persiste
...
Cinque curiosità da sapere sulla stampa mimetica
Quando si dice “camouflage”, viene quasi istintivo immaginare soldati che tentano di passare inosservati allo sguardo del nemico, indossando tute mimetiche. Le rivisitazioni di questa grafica sulle passerelle però, nulla hanno a che vedere con gli intenti bellici. Infatti, il camouflage conserva la sua rigorosa attitude per esprimere un’indole maliziosa, determinata, ma, declinato in varianti eccentriche e accostamenti cromatici inusuali, si apre a nuove interpretazioni. La stampa mimetica s’impone su abiti, pellicce e accessori, entra a tutti gli effetti nell’urban - chic per rappresentare la contemporaneità, ambigua e mutevole.
Ecco 5 curiosità.
1) Origini: siamo all’inizio del 1900 quando le uniformi, per far riconoscere i vari reggimenti impegnati nella lotta, si coloravano solo a tinta unita, in genere di rosso o di verde. Era diffuso utilizzare colori molto accesi, perché si pensava che incutessero talmente tanto timore, da far vagliare l’idea della resa al nemico. All’inizio della Prima Guerra Mondiale l’esercito francese adottò il rosso – blu per le uniformi, mentre quello inglese introdusse il kaki. Solo con la guerra di trincea si ebbero le prime ricerche sul camouflage: l’esercito americano istituì il camouflage corps, quello francese si avvalse dell’aiuto di un soldato – artista (Louis Guingot) per realizzare la prima uniforme con stampa mimetica. Durante la Seconda Guerra Mondiale si svilupparono molti pattern mimetici tra cui il Duck Hunter camouflage, in cui prevalevano il verde e il marrone, e il Denison Smock camouflage che era dipinto a mano con pennelli mop.
2) Etimologia: per alcuni l’origine etimologica di “camouflage” risale al XVIII secolo e deriva da cafouma, un vocabolo sei-settecentesco, il cui significato era “soffiare fumo per disorientare chi si ha di fronte”. Altre fonti attribuiscono origini venete, da camuffare, ingannare, nascondere, perché nel Cinquecento i camuffi di Rialto erano i ladri di Venezia. Venne usato poi anche per dare nome alla strategia di difesa adottata dagli animali deboli, che cercavano di sottrarsi dagli attacchi dei predatori; solo in seguito fu associato alla strategia militare utilizzata per ragioni difensive. Nel tempo però, stabilendo una stretta connessione con l’ambiente in cui l’uomo vive, quindi con i diversi settori in cui manifestava le sue attività, questo termine ha raccolto in sé una molteplicità di valori. Il significato originario d’invisibilità è anche il suo contrario, ovvero ostentazione (basti pensare alla moda e al beauty, appunto).
3) Tipologie di camouflage: le stampe camouflage (o camou) maggiormente utilizzate, arrivano proprio dalle forze armate e sono digitali. Flecktarnmuster (o Flecentarn), utilizzato dalle forze armate tedesche Bundeswehr, i cui colori sono verde scuro, verde kaki, nero, due tipologie di marrone e il motivo è costituito da piccole macchie più o meno circolari; CaDPat utilizzato dal Candian Army, la cui particolarità è il micro mimetismo e la palette colori orientata nelle due tonalità di verde e nel nero molto intenso; Marpat, la stampa mimetica dell’United States Marine Corps, in cui prevale il marrone; lo Universal Camouflage Pattern (UCP) proprio delle forze armate degli Stati Uniti, detto anche Digital Camouflage, molto simile alla divisa canadese; Vegetato il pattern ufficiale dell’Esercito Italiano.
4) L’arte del camouflage: diversi artisti contemporanei hanno trasportato il camouflage nella rappresentazione artistica. L’intento di confondere il soggetto del dipinto con lo sfondo, è quasi sempre provocatorio. Andy Warhol, alla fine del 1986, ultimo periodo della sua vita, mescolò i colori, non solo il grigio verde ma anche accostamenti cromatici di forte impatto visivo come il rosso, il giallo, il blu. Sovrapponendo la trama mimetica al proprio autoritratto, Warhol utilizzò la mimetizzazione in chiave di maquillage. Questa dimensione pop del camouflage ha influenzato, a volte trasversalmente, molti artisti pop e continua a essere presente anche nelle proposte della moda contemporanea.
5) Passerelle mimetiche: se verso la fine degli anni Sessanta, gli abiti militari venivano indossati dalle ragazze nei cortei come manifesto contro la guerra (in Vietnam), negli anni Ottanta la stampa mimetica entra nella Hall Of Fame della moda e nel tempo conquista sempre di più la scena. Le passerelle dell’A/I 13-14 e della P/E 14 sono valida testimonianza del fatto che nel tempo il camouflage, da una parte ha mantenuto la sua classica texture, dall’altra ha trovato nuove dimensioni, date dalla palette colori o dalla rivisitazione quasi totale del grafismo mimetico. Quello che se ne deduce è che l’immersione del camouflage nel glam del pop rock targato Ottanta, abbia aperto agli stilisti una prospettiva in cui quel grafismo così netto e austero, trova nelle nuove soluzioni interpretative, un posto privilegiato in quell’immaginario estetico dell’eleganza tout court.
© Riproduzione riservata