Bianca Balti: «Grazie ma ce la faccio da sola»

«L’indipendenza crea dipendenza: se l’hai sperimentata non torni più indietro». È questa la filosofia della top model, che abita in Spagna
con le sue due bimbe e vive un rapporto a distanza con il compagno. Con Grazia ha immaginato il suo futuro, in cui si vede nonna e con quattro figlie. Tutte femmine   

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Bianca Balti non ha paura. Anzi, ne ha tanta. Ma ha imparato a dominarla scegliendo la soluzione più illogica: vivere senza rete. Rinunciare a ogni forma di protezione. A 31 anni ha due figlie e le cresce quasi completamente da sola. Abita a Marbella, in Spagna. A migliaia di chilometri dalla sua famiglia lodigiana e ancora più lontana dal suo amore americano: Matthew McRae, padre della sua seconda bambina.  
Bianca vive con le sue figlie: Matilde, 8 anni, nata dal suo ex marito, il fotografo Christian Lucidi, e Mia, 10 mesi. Cerca di non lasciarle mai e, quando deve farlo, le tiene attaccate a sé con il pensiero: «Le seguo continuamente a distanza, spero che sentano la mia presenza accanto a loro». Incontro la top model a Milano per la settimana della moda che, per fortuna, coincide con un periodo di vacanze scolastiche a Marbella. «Così anche Matilde è potuta venire con me e Mia in Italia. Adesso sono dai nonni, a Lodi. E io sto giocando alle sfilate», (questa del gioco ce la spiegherà poi). L’appuntamento è nell’atelier temporaneo di L’Oréal Paris in piazza Gae Aulenti, per le sfilate di Milano: Bianca è testimonial della lacca Elnett. Arriva arrampicata su décolletées rosse tacco 12. Gambe lunghissime, rossetto rossissimo, occhi azzurrissimi, sorriso bianchissimo. L’effetto è esagerato. Poi lei si siede e parla con una voce sottile, con frasi che finiscono quasi sempre con un punto interrogativo, soprattutto quando racconta il suo essere madre, con lo sguardo dritto nei miei occhi e non nei mille specchi che ha attorno. E tutto torna a una dimensione umana, profondamente bella.

Bianca, lei sta crescendo le sue figlie da sola, in un posto senza radici. È coraggiosa.
«Ma davvero le sembro così? Sono contenta, perché io ho sempre paura di aver paura di tutto. Sono molto legata alla mia famiglia di origine. Torno in Italia almeno una volta al mese. E se non lo faccio, viene la mamma a trovarmi. Ma sono uscita di casa a 19 anni perché avevo bisogno di staccarmi, di essere me stessa. Io sono io. E la mia famiglia adesso è fatta da me, dalle mie due bambine. E dal mio compagno».

Che però vive negli Stati Uniti.
«Strana storia, vero? E un po’ complicata. Lui fa il creativo e ha un lavoro simile al  mio: è occupatissimo per mesi, poi magari ha una pausa di due settimane. Adesso, per esempio, è libero. Ed è pure un po’ arrabbiato. Pensava di venire a Marbella e di starsene in vacanza con noi. Ma noi siamo a Milano. E la settimana prossima sarò a Parigi. Lui dovrà fare il babysitter».

A lei piace questa vita complicata?
«Devo essere sincera, non mi è sempre piaciuta. C’è stato un periodo in cui facevo la vittima, mi compativo. Poi ho capito che dovevo dirmi la verità: tutto questo è una mia scelta. E io sto bene così. Con il mio compagno ci amiamo, ci sosteniamo. Ma io non ho bisogno di nessuno. Ci sono stati momenti duri in passato. Giorni in cui sono stata obbligata a cavarmela da sola. Ce l’ho fatta e ci ho preso l’abitudine. L’indipendenza dà dipendenza: quando l’hai sperimentata non torni più indietro».

Mi racconti un momento “duro”.
«San Valentino 2015. Io ero incinta di Mia, sola, a Marbella. Sono andata al cinema a vedere Cinquanta sfumature di Grigio. Una cosa tristissima. Ero così mal messa che trovavo commovente perfino un film così. E piangevo come una fontana. Intorno a me c’erano soltanto donne, tutte sole come me probabilmente».

Quest’anno, a San Valentino, lei ha postato una foto con il suo fidanzato: voi due insieme, nel lettone sfatto. La vita cambia.
«E ho dovuto imparare a prenderla come è. Proprio io che muoio d’ansia per tutto, mi trovo a dover fare cose che sulla carta mi sembrano difficilissime. Per esempio, partire per qualche giorno di lavoro all’estero e lasciare Matilde, che deve andare a scuola, a Marbella. Sono tormentata dai dubbi: e se le succede qualcosa? E se ha bisogno di me?».

L’ansia è una forma d’amore.
«Davvero? Le credo, ma solo se lei mi assicura di averla provata».

Giuro.
«Allora sa di che cosa parlo. Per non colpevolizzarmi troppo, mi dico che sono ansiosa perché sono lucida, riconosco le mie emozioni e sono a contatto con quello che provo. A costo di fare figuracce. Quando vivevo a New York con il mio ex marito, mi è capitato di dover lasciare Matilde, piccolissima, per tornare in Europa. Lei aveva la tata e il suo papà, ma io non ero tranquilla. Poi ci si è messo l’aereo, che non poteva partire per un piccolo guasto. Eravamo già tutti a bordo e io ho avuto un attacco di panico. Volevo scendere di lì, volevo tornare a casa, volevo la mia bambina. È stato orribile».

Ma poi ce l’ha fatta, no? Basta parlare di testa e cuore, passiamo al fisico: c’è qualcosa di sé che cambierebbe?
«Io sono una che mediamente si piace, ma i miei capelli non sono un granché. Sono sottilissimi, non hanno corpo, vanno dove vogliono. Per questo la lacca è strategica. Mi metto a testa in giù, uno spruzzo e il gioco è fatto. Sembrano forti come pali».

Oggi è qui in versione tacco 12. È così che va in giro normalmente?
«No, adesso sono vestita per il circo. La settimana della moda è un grande, meraviglioso gioco a cui mi hanno invitata, per fortuna. Un carnevale in cui io mi travesto da top model. E questo comprende molte cose di cui nella vita faccio decisamente a meno. Il trucco. Il tacco. La paura che qualcosa non sia al posto giusto. Io sono una perfezionista. Se mi concentro su una cosa vado in fissa. Così quando lavoro scelgo di non badare troppo a come sono, altrimenti esagero. Decido di viverlo come una festa in maschera, che poi finisce. Ho scelto di vivere a Marbella anche perché lì nessuno sa che mestiere faccio».

Qual è il momento della giornata che le piace di più?
«La mattina. Mi sveglio all’alba, mi preparo il caffè, giro per la casa silenziosa, penso, respiro. Poi vado a svegliare Matilde e comincia il lungo lavoro attorno ai suoi capelli. Mia figlia va a scuola in divisa e ha bisogno di qualcosa che metta ben in chiaro che lei è Matilde. E questa cosa è l’acconciatura. In alternativa, lei vorrebbe un vestito nuovo ogni giorno. Io cerco di spiegarle che queste sono tutte stupidaggini».

Be’, detto da una top model...
«Fa ridere? Ha ragione. Credo che sia un retaggio del mio passato un po’ ideologico. A volte mi pento di non essermi goduta quello che ero. Da quando ho superato i 30 anni, ho capito che i 20 avrei potuto viverli con più leggerezza e godermi il mio bellissimo lavoro. Invece coltivavo un modo di vedere le cose pesante, giudicante. Forse era solo una maniera adolescenziale di essere arrabbiata con la realtà».

Poi che cosa l’ha alleggerita?
«Ho smesso di dare i voti. Anche a me stessa. Adesso nella mia auto posso mettere a palla una compilation di musica scema, senza sentirmi scema».

Come si vede, lei, in futuro?
«Nonna. Passando per una tappa intermedia: altri due figli. Possibilmente femmine».

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«Se la strage in spiaggia o il saccheggio alla Stampa sono definiti "resistenza"»: l'editoriale di Silvia Grilli

Silvia Grilli
Il nuovo numero di Grazia è ora in edicola. Ecco l'editoriale della Direttrice Silvia Grilli

La resistenza è necessaria con ogni mezzo», «con Hamas fino alla vittoria», «ora e sempre resistenza». Sono slogan che sentiamo nelle piazze di tutto il mondo alle manifestazioni contro Israele.

Per chi li inneggia possono essere innocua teoria, opinioni a favore della Palestina o semplicemente parole urlate per non sentirsi esclusi dal gruppo, non una chiamata alle armi per massacrare i presunti oppressori. Ma c'è sempre chi prende la teoria alla lettera. Domenica 14 dicembre, quegli slogan sono stati scritti con il sangue degli ebrei.

Un padre e un figlio pachistani hanno sparato sulla folla che celebrava il primo giorno della festa religiosa ebraica dell’Hanukkah su una spiaggia famosa per le nuotate al tramonto. Quindici morti e decine di feriti sono rimasti sulla sabbia a Bondi Beach, uno dei posti più belli, pacifici e gioiosi dell’Australia. Il primo ministro Anthony Albanese ha dichiarato che non riesce a spiegarsi tutto questo male. Io credo sia molto spiegabile: per gli invasati che considerano Israele il male assoluto, massacrare gli ebrei è fare giustizia.

È la colpa dei giudei che spinge giovani ProPal a saccheggiare la redazione del quotidiano La Stampa (paradossalmente uno dei più favorevoli alla causa palestinese). Induce quel centinaio di manifestanti a scrivere e urlare slogan terroristi come “Stampa-Morta” o «giornalista sei il primo della lista», mentre una loro guru, Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite, riduce l'assalto a un «monito ai giornalisti».

Nella tradizione ebraica, Hanukkah è la festa della luce, della speranza. Colpire bambini, anziani e adulti che festeggiano la vita non è diverso da quando il 7 ottobre i terroristi di Hamas fecero strage al Nova Festival. Sparare sulla spiaggia in un momento storico in cui c'è qualche passo verso la pace è voler cancellare la speranza nel futuro.

Eppure, ho ancora fiducia che l’umanità possa superare l’odio. Domenica 14 dicembre, in Australia, questa speranza aveva i gesti di un uomo: Ahmed Al Ahmed, fruttivendolo immigrato siriano, che si è precipitato su uno dei terroristi e gli ha strappato il fucile. Aveva le gambe di Jackson Doolan, il bagnino veterano della spiaggia, ex star di Baywatch in Australia, che è corso a piedi nudi per un chilometro e mezzo portando il borsone dei medicinali. Aveva le braccia di tutti coloro che si sono adoperati per salvare le vittime, sollevandole sulle tavole di soccorso che di solito vengono usate per trasportare la gente a riva.

Gli orrori si ripetono, sembrano non volersi fermare. Ma se le persone corrono ad aiutare, se ci sono solidarietà e compassione, c’è ancora speranza nell’umanità.

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Grazia è in edicola con Maya Hawke

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Ecco cosa vi aspetta nel nuovo numero di Grazia, da oggi in edicola e su app

Maya Hawke è la protagonista di copertina Grazia in edicola e app. Si è fatta conoscere con la serie Stranger Things, arrivata all’ultima stagione. Ora l’attrice newyorkese figlia delle star Uma Thurman ed Ethan Hawke, girerà il nuovo capitolo di Hunger Games dove vuole portare l’energia di chi non ha paura di crescere.

Questa settimana intervistiamo alcune icone di Hollywood. Incontriamo Zoe Saldana, al cinema nel ruolo di Neytiri, la madre combattente di Avatar. Parliamo con Ariana Grande, in corsa ai Golden Globe con Wicked e le attrici premio Oscar Jodie Foster e Laura Dern.

Il 2025 ha cambiato noi e la Storia. Grazia lo ripercorre. Dal ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca alla guerra a Gaza. Dalle vittorie di Jannik Sinner all’elezione del primo Papa americano fino alla scomparsa di icone come Ornella Vanoni e Giorgio Armani.

Grazia ha scelto i personaggi da tenere d'occhio nel 2026: le sciatrici Sofia Goggia e Lindsey Vonn attese alle Olimpiadi invernali, María Corina Machado, premio Nobel per la Pace che potrebbe cambiare le sorti del Venezuela, Lady Gaga in arrivo in concerto in Europa e molti altri. Da Can Yaman a Jacob Elordi, da Timothée Chalamet a Jeremy Allen White, che cos’hanno in comune i nuovi sex symbol? Mettono d’accordo mamme e figlie. Grazia ve li racconta.

Abiti dorati, trasparenze, ricami e dettagli preziosi. Grazia ha scelto i capi che ti rendono protagonista delle notti di festa e delle serate più speciali. Ma anche lo stile più cool per il 2026.

E nelle pagine dedicate alla bellezza trovate tutti i segreti per brillare: dalle strategie effetto freddo per una pelle più tonica alla scelta del fondotinta e del correttore giusti per illuminarla.

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Jodie Foster: "Faccio film per capire chi sono"

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Jodie Foster festeggia al cinema 60 anni da star. Nel thriller Vita privata, da oggi nelle sale, è una psicanalista tormentata. Ma a noi racconta come, grazie alla sua carriera, ha capito che le donne over 50 hanno tutte le carte per vincere

Come trascorre il giorno del suo compleanno una diva planetaria come Jodie Foster, sotto i riflettori dall’età di tre anni? «Lavorando», mi risponde accomodata sulla poltrona, mentre sorseggia un cappuccino. Neanche a farlo apposta la incontro proprio il giorno in cui compie 63 anni e mi confida che finita l’intervista andrà con gli amici a festeggiare. Sessant’anni di carriera tondi, fresca del Golden Globe vinto a gennaio per la sua performance nella serie True Detective: Night Country, la regista e attrice torna al cinema con il nuovo film di Rebecca Zlotowski Vita Privata. Presentato in anteprima al Festival di Cannes e dall’11 dicembre al cinema, la vede calarsi nei panni della nevrotica psichiatra Lilian Steiner, ossessionata da un caso molto delicato.

Che rapporto ha con il passare del tempo?

«Buono. Mi sento più felice che mai in vita mia».

Davvero?

«Parlo di una gioia profonda, non di quello che mi accade giorno per giorno. Le cose della vita, belle e brutte, capitano. Ma vivo un momento in cui il lavoro sta andando sempre meglio e ho superato l’ansia delle domande: “Sarò in grado di farcela con le mie forze?”, “Avrò una famiglia?”. Tutte questioni archiviate, per fortuna non devo più preoccuparmene. Da giovane passavo tanto tempo a pensare a me stessa, dopo una certa età mi sono concentrata sulle storie degli altri, è più facile e divertente».

Anche in Vita privata ascolta le storie degli altri.

«La mia Lilian non è una psichiatra risolta, anzi, è parecchio nevrotica. Non riesce a comprendere come sia possibile che la sua paziente in cura da nove anni (Virginie Efira, ndr) si sia potuta uccidere. Non ci crede, non ammette la possibilità che lei, in quanto psichiatra, sia stata così sorda».

Ritiene che come società abbiamo perso il potere di ascoltare?

«Mostrare curiosità verso gli altri è tutto. Noi attori siamo allenati all’ascolto, per lavoro siamo chiamati a calarci nelle vite degli altri ed è una bella abitudine mettersi nei panni altrui, un esercizio che possiamo fare tutti. Ci aiuterebbe come società».

Dal titolo del film alla realtà, essendo conosciuta in tutto il mondo sin da piccola come ha fatto a proteggere la sua, di vita privata?

«Sforzandomi sempre molto. Lavorando sin da bambina sapevo di dovermi proteggere: volevo andare a Disneyland, ma senza le telecamere che mi seguissero. Volevo essere libera di andare al supermercato, o prenotare un volo senza che nessuno lo facesse al posto mio. Ci ho sempre tenuto a mantenere viva la mia indipendenza, tracciando una linea netta tra la mia vita pubblica e quella privata. Oggi sono contenta di aver seguito quell’impulso».

Nel film la sentiamo sfoggiare un francese fluente…

«Mi fa sentire più sicura di me, rispetto all’inglese. Sarà che devo la passione per il francese a mia madre, che me lo fece studiare». 

Come mai?

«Non aveva mai viaggiato fuori dagli Stati Uniti fino ai cinquant’anni, ma la cultura europea l’affascinava. Comprava di continuo riviste e libri su Parigi e Napoleone, addirittura dipinse le pareti di casa con i colori delle antiche pietre romane. Quando ero bambina fece il viaggio dei suoi sogni e andò in Francia, con un tour in bus di quelli turistici».

Che cosa le disse al ritorno?

«"Jodie, impara il francese e diventa una grande attrice francese". Era il suo modo di dirmi che sognava per me una vita più ampia di quella americana. Anche perché erano gli anni 70, al potere c’era Nixon, non era facile essere americani. A mia madre piaceva l’idea che potessi scegliere di essere libera di inventarmi una vita tutta mia».

Ha fatto lo stesso con i suoi figli?

«Dovrebbe chiederlo a loro (Charlie e Kit, 27 e 24 anni, ndr). Intanto uno di loro sa parlare benissimo il tedesco, le mie radici tedesche ne sono contente».

Che rapporto ha con la psichiatria?

«Sempre stata scettica, ma una volta mi sono fatta ipnotizzare».

Com’è andata?

«Mi ripetevo: "Ma perché pagare 90 dollari a un tipo quando potrei smettere di fumare gratis oggi stesso?", eppure ha funzionato. Non amo la psicanalisi, per quanto la trovi attraente da un punto di vista cinematografico: non mi piace Freud, in America nessuno lo stima più, era un grandissimo sessista. Trovo però importante che al cinema si parli di salute mentale».

E che si mostri come le donne over 50 abbiano desideri, diritto al piacere e una vita sessuale appagante, come la sua Lilian con l’ex marito interpretato da Daniel Auteuil: perché tutto questo al cinema si vede ancora poco?

«Dovremmo parlare per ore della rappresentazione del corpo femminile. Purtroppo i pregiudizi sulle donne dopo una certa età sopravvivono, non solo al cinema. Ma sono speranzosa: registe come Zlotowski dimostrano di voler raccontare le donne per quello che sono, con tutti i loro desideri. La mia Liliane non è solo una psichiatra, una madre e una nonna, ma una donna che si esprime anche attraverso il  corpo».

Con Auteuil avete avuto un intimacy coordinator?

«È una figura che ho scoperto sul set di True Detective. Ho detto: "Che lavoro pazzesco, dov’eri tu quando avevo 16 anni?". Ormai io e Auteil abbiamo superato i 60 e abbiamo risolto senza, ma sono contenta che questa figura esista, era importante che ci fosse».

Che cosa di lei non hanno mai capito finora?

«Non sono seria come credono. Non ho mai capito perché il pubblico mi affibbi quest’aura di serietà, io sono una persona leggera. Certo, se mi fanno domande serie rispondo in modo serio e amo fare lavori significativi, ma se sapeste com’è la mia giornata ideale cambiereste idea».


Com’è la sua giornata ideale?

«Sveglia presto, sci ai piedi, la sera una partita di calcio in tv e una cena gustosa. Altro che tormentata, sono una persona felice e ottimista verso il futuro».

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Come trasformare l'eredità in un'opportunità per i propri figli

Elena Valzania x Alleanza
L'eredità di famiglia può assicurare un sostegno economico ai propri cari. Basta sottoscrivere una polizza di investimento adeguata, affidandosi a un bravo consulente

Elena Valzania ha 57 anni e vive a Ravenna, in una casa che ha ereditato dalla sua famiglia. Cresciuta in un contesto economicamente stabile, è stata segnata più di quanto pensasse da ciò che ha ricevuto in eredità: non solo beni, ma un intero modo di vivere e pensare il denaro. «I nostri familiari conducevano vite semplici, risparmiavano e investivano».

A un certo punto, la malattia entra nella sua storia familiare e si intreccia alle questioni economiche. Il padre di Elena si ammala gravemente, per poi morire quando lei ha 20 anni. Insieme con i beni materiali, Elena riceve anche un’eredità invisibile: l’idea che il lavoro debba essere per forza fatica. Un peso silenzioso che la accompagna a lungo, anche dopo la laurea in Farmacia, quando si avvicina all’omeopatia e inizia a lavorare. «Rispetto allo studio, lavorare mi sembrava facilissimo, ma proprio per questo mi pareva che non valesse abbastanza». E infatti, quando viene assunta in una cooperativa di Bologna, non negozia lo stipendio.

La sua carriera aziendale si interrompe durante la sua prima maternità: l’azienda viene acquisita e, al rientro dal congedo, capisce che stanno cercando di spingerla alle dimissioni.

Da allora, Elena non è più rientrata nel mondo del lavoro “ufficiale”. I soldi necessari ad andare avanti, però, in un modo o nell’altro, entrano. Ed Elena procede nella sua vita, con una leggerezza sconosciuta ai suoi familiari. Che le è concessa, però, anche grazie all’eredità materiale ricevuta da loro: «Mio marito e io abbiamo sempre avuto la mentalità di investire sulla nostra famiglia. Tuttora siamo concentrati sul mantenere i nostri tre figli agli studi e i beni di famiglia sono un mezzo per sostenere questa nuova generazione».

Parola all'esperta: le polizze come strumento di tutela

RISPONDE ELENA BELLUCCI DELL’AGENZIA ALLEANZA DI EMPOLI (FI)

1) Come si gestisce un’eredità ricevuta?
«Ricevere un’eredità può risultare persino destabilizzante, specie se si tratta di grandi somme, e senza una gestione attenta il rischio è di sperperare il patrimonio o di non trarne vantaggio. È insomma necessaria un’attenta pianificazione che parta dai bisogni dell’individuo o della famiglia, ragione per cui può essere molto utile affidarsi a un buon consulente assicurativo e finanziario. Tra le soluzioni possibili ci sono le polizze di investimento, che combinano l’opportunità di investimento con la componente assicurativa, che offre una protezione sul capitale o sul rischio di vita. Ne esistono di diversi tipi: con quelle a capitale garantito, per esempio, si ha la certezza che il capitale che sarà restituito all’uscita dall’investimento non sarà inferiore a quello versato».

2) Che vantaggi hanno, rispetto alle altre soluzioni? 
«Le polizze da investimento sono nate per chi desidera assicurare un sostegno economico ai propri cari, anche in caso di decesso, con l’aggiunta di un rendimento. Offrono però anche altri vantaggi: uno dei più importanti sta nel fatto che il capitale così collocato non rientra nell’asse ereditario e non viene considerato nel calcolo dell’eredità ai fini della tassa di successione. In caso di morte del contraente le somme passano al beneficiario, nel rispetto delle quote di eredità legittime disponibili, e questo rende la polizza un ottimo strumento per tutelare le coppie non sposate o i minori».

Testo di Annalisa Monfreda
*co-fondatrice di Rame, rameplatform.com