Dieci cose che non sapete sulla Principessa Diana

Dal fidanzamento col Principe Carlo al rapporto coi figli: Harry e William raccontano una Principessa Diana inedita
Era il 31 agosto di vent'anni fa quando le televisioni hanno diffuso la tragica notizia della morte della Principessa Diana.
Oggi, William e Harry hanno deciso per la prima volta di mettersi a nudo e parlare del rapporto con la loro madre in un documentario, Diana, our mother: her life and legacy.
Ecco dieci cose da sapere su Lady Di.
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Lady Di non era una secchiona
Fino all'età di 9 anni, la Principessa ha studiato a casa.
Era piuttosto comune per i ragazzi aristocratici essere seguiti da insegnanti che andavano a casa invece che frequentare le scuole come la gente comune.
Dai 9 ai 12 anni ha frequentato poi la Riddlesworth, nel Norfolk, prima di essere presa alla West Health Girl’s School, nel Kent, dove è rimasta fino ai 16 anni, ma senza conseguire particolari successi scolastici, anzi.
Diana provò e fallì per due volte i suoi esami finali.
Tuttavia, era una ragazza piuttosto popolare, grazie alle sue doti atletiche e musicali e alle sue capacità come ballerina.
Ha lavorato come governante e allevatrice
Dopo il liceo, Diana si trasferì in Svizzera per qualche mese per frequentare l'Institut Alpin Videmanette, una scuola di buone maniere, continuando a coltivare la sua passione per la danza e il sogno di calcare i palchi con il Royal Ballet.
Sogno che dovette abbandonare per via della sua eccessiva altezza.
Decise quindi di dedicarsi all'insegnamento della danza ai bambini più piccoli e nel frattempo di fare da governante per la sorella Sarah e l'hostess alle feste.
Dopo un infortunio alla caviglia, lasciò le sue piccole ballerine per dedicarsi come assistente all'asilo Young England e tata presso alcune famiglie di Londra.
«Sarebbe stata una nonna da incubo, assolutamente. Avrebbe amato i bambini, ma per noi sarebbe stata un cataclisma. Sarebbe andata e venuta, probabilmente all'orario del bagnetto, perché è una scena divertente.
Avrebbe riempito ovunque di bolle e acqua per tutto il pavimento giocando con loro e poi se ne sarebbe andata», ha scherzato il principe William in uno degli spezzoni del documentario anticipati da Itv.
Il Principe Carlo frequentava sua sorella
Diana e Carlo si sono conosciuti nel 1977 durante una battuta di caccia.
All'epoca, però, il Principe stava con la sorella maggiore di Lady Di, Sarah Spencer.
La loro storia si concluse quando lei andò a spifferare ai tabloid alcuni retroscena di corte, mossa imperdonabile per Carlo e soprattutto per la Regina Elisabetta, che avrebbe dovuto approvare il fidanzamento.
Sarah fu comunque invitata a una festa di compleanno di Carlo e con lei le sue sorelle.
Così iniziò la frequentazione con Diana.
Dodici incontri per un matrimonio
Si narra che Carlo e Diana si incontrarono solo dodici volte prima dell'annuncio del fidanzamento.
I primi tempi la loro relazione fu tenuta nascosta ai paparazzi, che continuavano a tampinare il Principe sempre più sotto pressione per via dell'età da matrimonio (all'epoca aveva 31 anni).
La notizia della loro frequentazione divenne ufficiale dopo una breve vacanza a Balmoral, nella residenza della Famiglia Reale alla presenza della Regina Elisabetta, del Principe Filippo e della Regina Madre.
In quell'occasione dei fotografi appostati riuscirono a identificare che la fanciulla con cui si accompagnava Carlo era proprio Diana.
Pochi mesi dopo, il 24 febbraio 1981, Buckingham Palace annunciò il fidanzamento.
Diana scelse il suo anello da un catalogo
L'anello che oggi brilla al dito di Kate Middleton è lo stesso che Carlo regalò a Diana per il loro fidanzamento.
Fu proprio Lady Di a sceglierlo dal catalogo della gioielleria Garrad, invece di farselo disegnare appositamente, com'era da tradizione.
L'anello è composto da 14 diamanti e uno zaffiro da 12 carati montati su una fascia di oro bianco.
Alcune voci sostengono che la Principessa scelse questo modello perché era il più grande a disposizione, cosa che lei smentì.
Non pronunciò il voto di obbedienza
Carlo e Diana si sposarono il 29 luglio del 1981 nella Cattedrale di Saint Paul, preferita a Westminster perché più spaziosa.
Alle nozze partciparono infatti duemila invitati.
Di fronte a tutte quelle persone, più di 750 milioni collegati in mondovisione, Lady Di invertì per errore i primi due nomi di Carlo, pronunciando prima il nome Filippo.
Inoltre, decise di cambiare la consueta formula dei voti nuziali, rifiutandosi di pronunciare il voto di obbedienza al marito.
Cosa che ha fatto, di comune accordo con William, anche Kate Middleton.
Utilizzava le cassette come diari
Quando le fu ormai chiaro che il matrimonio con Carlo fosse in crisi, Diana si preoccupò di raccontare e lasciare ai posteri la sua versione della storia.
Per questo iniziò a registrare su cassetta tutti i suoi pensieri di quel periodo, come se fossero dei diari.
I nastri vennero mandati poi al giornalista Andrew Morton e divennero la base su cui venne ricostruita la sua biografia.
In una di queste registrazioni, Lady Di racconta di aver sentito Carlo che al telefono con Camilla diceva che l'avrebbe sempre amata, per questo in una successiva intervista confessò che il suo matrimonio era «piuttosto affollato».
Ha tentato il suicidio e sofferto di bulimia
Dopo il divorzio, Diana ha confessato di aver sofferto di depressione durante la sua vita a corte e che quello stato d'animo la portò a soffrire di bulimia e addirittura a tentare il suicidio.
Le sue insicurezze iniziarono poco dopo il fidanzamento, quando Carlo le mise una mano sul fianco e disse: «Siamo un po' paffutelle qui, no?».
Una frase che unita alle continue frecciatine dei tabloid la portarono a dubitare del suo aspetto fisico.
Solo nel 1990, poco prima del divorzio, Diana ammise di soffrire di bulimia, uno dei sintomi del suo stato depressivo.
In altre interviste ammise anche che la sua caduta dalle scale mentre era incinta di William non fu così accidentale, ma un tentativo di attirare l'attenzione del marito.
Ha cresciuto i figli a modo suo
Su una cosa Diana non ha mai accettato imposizioni: il modo in cui avrebbe educato i figli.
Nella sua breve vita la principessa cercò sempre di far vivere a William e Harry un'infanzia il più normale possibile, portandoli al mare, a Disneyland e persino da McDonalds.
«Ci diceva – ricorda Harry – che potevamo comportarci da discoli quanto volevamo: l’importante era non farsi scoprire».
Non solo: Lady Di voleva che i suoi bambini crescessero consapevoli della loro fortuna e con uno sguardo al prossimo.
Per questo spesso li portava con sé nelle visite ai bambini malati di AIDS.
«Voglio che capiscano le emozioni della gente, le loro insicurezze, le loro speranze e i loro sogni», diceva.
Un messaggio che entrambi i principi hanno percepito forte e chiaro, tanto da portarlo avanti nella loro vita di tutti i giorni.
L'ultima telefonata
Nel documentario Diana, our mother: her life and legacy Harry e William raccontano anche dell'ultima volta che hanno sentito la voce della madre.
Era il 30 agosto, i due principi si trovavano in vacanza nella tenuta di Balmoral e stavano giocando con i loro cugini quando arrivò la telefonata di Diana da Parigi.
Appena adolescenti, però, i ragazzi cercarono di tagliare corto per poter tornare a divertirsi.
Entrambi erano convinti che l'avrebbero rivista presto.
L'1 settembre, infatti, avrebbero dovuto rincontrarsi.
«Se avessi saputo che cosa stava per accadere – ha detto William – non avrei trovato interessante nessun’altra cosa».
«Rimpiangerò per tutta la vita quanto corta è stata quella telefonata», ha detto Harry.
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5 trucchi per non ammalarsi mai (provare per credere!)

Con l’arrivo dei mesi più freddi e il moltiplicarsi di raffreddori, influenze e malanni stagionali, una domanda torna a girarci costantemente per la testa: come rafforzare il sistema immunitario per non ammalarsi?
La risposta onesta è che il sistema immunitario non funziona come un interruttore da accendere quando serve. Pensare di rinforzarlo solo quando arriva l’inverno o quando siamo già stanchi è un errore comune.
Questo perché il sistema immunitario è piuttosto una rete complessa che reagisce a ciò che facciamo ogni giorno: come dormiamo, cosa mangiamo, quanto stress accumuliamo, quanto ci muoviamo. Le difese funzionano meglio quando il corpo si sente continuamente al sicuro, regolare, sostenuto.
Per questo parlare di prevenzione significa parlare di costanza, non di soluzioni drastiche o last minute.
Ecco allora 5 azioni pratiche da fare quotidianamente per rafforzare il sistema immunitario e migliorare la propria salute in generale.
**Cosa mangiare quando si ha il raffreddore per stare meglio e guarire prima**
Ecco come rafforzare il sistema immunitario
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1. Dormire bene è una forma di prevenzione sottovalutata
Il sonno è uno degli alleati più potenti del sistema immunitario, eppure è spesso il primo sacrificato. Dormire poco o male non rende solo più irritabili: mette il corpo in una condizione di allerta continua, riducendo la capacità di reagire a virus e infezioni.
Non conta solo quante ore dormiamo, ma anche la regolarità. Andare a letto sempre a orari diversi, guardare il telefono fino a tardi e addormentarsi con la testa ancora piena di stimoli impedisce al corpo di entrare davvero in modalità recupero.
Migliorare la qualità del sonno, anche con piccoli aggiustamenti serali, è uno dei modi più efficaci per rafforzare le difese senza fare nulla di straordinario.
2. Alimentazione quotidiana: più equilibrio, meno perfezionismo
Quando ci si chiede come rafforzare il sistema immunitario, bisogna considerare l'importanza dell’alimentazione quotidiana. Ma attenzione: più che inseguire superfood miracolosi o diete rigidissime, conta la regolarità.
Mangiare in modo vario cercando di eliminare cibi ultra-processati, e rispettare i pasti per non arrivare sempre affamati a fine giornata aiuta il corpo a mantenere stabile l’energia e a ridurre l’infiammazione di fondo.
Un ruolo chiave lo gioca l’intestino, che è strettamente collegato alle difese immunitarie. Saltare pasti, mangiare sempre di corsa o affidarsi a alimenti non salutari può indebolire questo equilibrio.
**Come non ammalarsi questo inverno? 8 cibi per rafforzare le difese immunitarie**
3. L'importanza del movimento costante
Rafforzare il sistema immunitario non significa allenarsi duramente ogni giorno: il movimento aiuta quando è sostenibile, non quando diventa un’ulteriore fonte di stress.
Camminare, muoversi con regolarità, spezzare la sedentarietà quotidiana con esercizi di stretching aiuta il corpo a scaricare tensioni e a mantenere attivo il sistema di difesa.
Vivere sempre “di corsa”, senza pause, tiene il corpo in una modalità di allerta costante che, nel tempo, abbassa le difese. Ridurre lo stress non significa eliminarlo, ma imparare a creare piccoli spazi di recupero nella giornata.
4. Gli integratori come supporto, non scorciatoia
Gli integratori possono essere utili in alcuni momenti specifici, ma non sostituiscono uno stile di vita equilibrato. Prenderli pensando di compensare sonno scarso, alimentazione disordinata o stress eccessivo raramente funziona.
Il loro ruolo è quello di supportare, non di risolvere.
È allora importante considerarli come un aiuto mirato, soprattutto in periodi di maggiore stanchezza o cambi di stagione, ma senza perdere di vista la base: le abitudini quotidiane.
5. Come rafforzare il sistema immunitario con piccoli gesti quotidiani
Rafforzare il sistema immunitario non significa inseguire l’invincibilità, ma prendersi cura del corpo con continuità.
Dormire un po’ meglio, mangiare con più regolarità, muoversi anche quando non ne abbiamo voglia e concederci pause reali sono scelte che, sommate nel tempo, fanno la differenza.
Non esiste un trucco per non ammalarsi mai, ma esiste un modo più gentile e intelligente di sostenere il corpo, riducendo la frequenza dei malanni e recuperando più in fretta quando arrivano. Ed è proprio da qui che inizia il vero benessere.
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Rituali di Natale: ecco perché ci piace ripetere sempre tutto allo stesso modo

Ci sono tradizioni che custodiamo solo per questo periodo dell’anno: film che rivediamo solo sotto Natale, ricette che cuciniamo “per tradizione” e oggetti che tiriamo fuori esattamente nello stesso giorno ogni dicembre.
Ogni volta ci diciamo che magari quest’anno faremo qualcosa di diverso, poi ci ritroviamo identici a come eravamo l’anno prima, con una playlist di Natale che parte puntuale con All I Want For Christmas e un bisogno quasi istintivo di ripetere gli stessi rituali.
Ma perché accade? E soprattutto: perché questa routine che potrebbe sembrare noiosa, in realtà ci emoziona così tanto?
La risposta sta in un concetto che negli ultimi anni è diventato sempre più presente nella cultura pop: la comfort nostalgia, la tendenza a rifugiarci in ciò che conosciamo perché ci fa sentire al sicuro.
**C'è un motivo per cui ogni anno riguardiamo gli stessi film di Natale**
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La comfort nostalgia: perché ci piace ciò che già conosciamo
La comfort nostalgia è il motivo per cui ascoltiamo sempre le stesse canzoni e riguardiamo gli stessi film ogni dicembre. Non è solo un’abitudine: è una risposta emozionale potentissima. Il cervello ama ciò che riconosce, perché anticipare il finale lo fa sentire al sicuro.
E se i ricordi legati alle feste sono positivi, tendono a diventarlo ancora di più con il tempo, trasformando ogni tradizione in un piccolo rito di benessere emotivo.
È il motivo per cui ogni anno i rituali festivi, qualsiasi essi siano, continuano ad avere un impatto immediato sul nostro umore. Sono esperienze che scatenano emozioni profonde perché toccano corde che parlano di infanzia, affetto, famiglia, attesa. E, soprattutto, di sicurezza.
Perché i rituali ci rassicurano (più di quanto pensiamo)
I rituali festivi non sono soltanto piccole abitudini: sono ancore emotive. In un periodo dell’anno spesso frenetico, fatto di scadenze di lavoro, corse ai regali e mille impegni sociali, sapere che alcune cose resteranno identiche è incredibilmente rassicurante.
Le tradizioni funzionano come un filo che ci collega a epoche diverse della nostra vita, ma anche a chi eravamo allora. Ogni gesto, dal tirare fuori l’albero al preparare la stessa ricetta di sempre, costruisce un ponte con il passato e ci dà un senso di continuità che in altre fasi dell’anno facciamo fatica a trovare.
È la prevedibilità, però, a rendere tutto così magico: sapere esattamente cosa accadrà, quando accadrà e con chi. In un mondo in cui tutto cambia velocemente, i rituali delle feste sono un raro momento in cui le regole non si spostano, il copione rimane stabile e noi possiamo rilassarci dentro una cornice che conosciamo alla perfezione.
Il fattore sociale
La forza dei rituali di Natale non riguarda solo ciò che viviamo individualmente: è anche un’esperienza sociale. Le feste funzionano come una coreografia collettiva in cui ognuno fa la sua parte, ma tutti si muovono all’interno dello stesso immaginario. Le città si illuminano nello stesso modo, le case si assomigliano un po’, i menu si ripetono da regione a regione e persino le battute dei film natalizi diventano un linguaggio condiviso.
Questa dimensione comune crea una sorta di “effetto comunità” che non sperimentiamo in altri periodi dell’anno. Decorare casa, preparare dolci, organizzare incontri: sono tutte azioni che ci fanno sentire parte di qualcosa di più grande.
Una tradizione che coinvolge milioni di persone contemporaneamente e che ci ricorda che, almeno una volta all’anno, condividiamo gli stessi valori: vicinanza, calore, memoria.
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Escort Boys: gratis su Mediaset Infinity la serie che sdogana il piacere femminile

Sei episodi, quattro affascinanti protagonisti, una fattoria di api sull'orlo del fallimento e un'idea audace. Sono questi gli ingredienti di base della prima, divertente e sensuale, ironica ma anche toccante è profonda, stagione di Escort Boys.
Dimenticate i soliti cliché. La produzione francese, creata da Ruben Alves e ispirata a una serie israeliana, non è solo muscoli scolpiti e scene piccanti. È una vera e propria dramedy - crasi tra comedy e drama - che usa l'escorting maschile come lente d'ingrandimento per esplorare la mascolinità contemporanea e, soprattutto, il desiderio femminile.
La soluzione per salvare le Api
Il palcoscenico è un’assolata Camargue. Al centro della vicenda c'è Ben, costretto a tornare a casa dopo la morte del padre per salvare l'apicoltura di famiglia. Tra debiti e l'ansia dei servizi sociali, l'idea salvifica (e rischiosa) arriva quando scopre che un ex lavoratore arrotondava facendo l'escort. Insieme agli amici Zak, Ludo e Mathias (tutti affascinanti, tutti al verde), Ben si lancia in un'impresa inaspettata.
A dirigere le operazioni c'è la scaltra e maliziosa sorellina di Ben, Charly, che trasforma i quattro "inesperti" ragazzi in veri e propri stalloni pronti a soddisfare le richieste più inattese. Nel mirino? Donne d'affari sole, signore che cercano un'evasione, gruppi per addii al nubilato.
L'ironia pungente e le situazioni al limite dell'assurdo si mescolano a momenti di vera vulnerabilità emotiva, rendendo la serie più profonda di quanto sembri.
Casting wow
Ciò che rende Escort Boys irresistibile è un mix di elementi perfettamente armonizzati. Innanzi tutto, il cast, non solo per la chimica tra i protagonisti, ma anche per la sfilata di cameo stellari che interpretano le esigenti clienti.
Tra queste, l'eterna Amanda Lear, la carismatica Rossy De Palma e la ex Bond girl (Solange, in Casino Royale, accanto a Daniel Craig) Caterina Murino.
Il messaggio (quasi) rivoluzionario
L’altro punto di forza - verrebbe da dire “rivoluzionario” - della serie è il suo tentativo di sdoganare il piacere femminile e raccontarlo senza tabù. Gli "escort boys" imparano a mettersi al servizio delle donne, comprendendo i loro desideri e le loro complessità. È un gioco di ruoli ribaltato, che costringe i protagonisti a mettere in discussione il concetto di mascolinità tossica e il mito dell'amore romantico.
Ne esce una narrazione profondamente attuale, un cocktail esplosivo di dramma, risate, sensualità e riflessioni sociali e sulle dinamiche di genere. Una dramedy in cui l'esuberanza della commedia si combina perfettamente con la profondità del dramma, creando una narrazione coesa e strutturata tra registri opposti.
L'accostamento, per esempio, tra il glamour del lavoro sessuale maschile e il mondo rurale delle api e del miele genera immediatamente una frizione ironica. Come ironica è l'imbranataggine iniziale dei ragazzi che, per quanto fisicamente avvenenti, appaiono in principio goffi, inesperti e pieni di preconcetti quando si interfacciano con le clienti.
Le prime "lezioni" impartite da Charly o le loro reazioni degli escort boys alle richieste inattese delle donne sono una combinazione insieme sexy e imbarazzante, con un umorismo che spesso si basa sullo smascheramento della mascolinità.
Ma sotto la superficie luccicante e i muscoli (in bella mostra), la serie affonda le sue radici in questioni profondamente drammatiche che danno peso emotivo a ogni episodio. Come la faccenda del debito e della responsabilità di Ben verso la famiglia in lutto; ma anche la crisi identitaria, le fragilità, le insicurezze che i protagonisti si trovano a fronteggiare quando iniziano l'attività di escort creano un alone drammatico, serio e credibile, che da' alla serie un tocco di unicità.
In un mondo dove l'industria del sesso, infatti, è quasi sempre raccontata dal punto di vista maschile, Escort Boys ribalta il canone.
Fa anche un ulteriore passo in più: oltre a mostrare donne che pagano per il sesso, va a scavare nelle ragioni per cui lo fanno, trasformando l'atto della transazione in un momento di intensa e spesso di malinconica verità. Questo uso maturo ed efficace del tema eleva la serie ben oltre la semplice commedia erotica. E anche per questo imperdibile.
Non resta allora che vederla tutta di un fiato, gratis, su Mediaset Infinity. La prima stagione completa è finalmente disponibile!
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