Al cinema è la moglie coraggiosa di un pompiere eroe e presto sarà sul set del remake del film di culto Top Gun. Jennifer Connelly è l’attrice che nei film d’azione supera le difficoltà affidandosi alla forza dei sentimenti, la stessa che l’ha aiutata anche nella sua vita.
Conosci la frase latina “Esse quam videri”, essere più che sembrare?». L’attrice Jennifer Connelly mi prende in contropiede. Poi, come per mettermi a mio agio, mi spiega che si tratta del motto della squadra speciale antincendi protagonista del suo ultimo film Fire Squad – Incubo di fuoco (nelle sale dal 22 agosto). Mi rendo conto che quell’espressione funziona benissimo anche per descrivere lei, che nel panorama delle stelle del cinema brilla da sempre per grazia e discrezione.
Siamo all’hotel Montage Beverly Hills e lei indossa un abito di Louis Vuitton, maison di cui è amica al punto da non perdere una sfilata. Ora che ci penso, ultimamente ho visto più spesso Jennifer applaudire il suo amico Nicolas Ghesquière, direttore creativo delle linee femminili della maison francese, che alle conferenze stampa qui a Hollywood. Questo perché l’attrice, 47 anni, vive a New York con il marito Paul Bettany, conosciuto sul set di A Beautiful Mind, il film che le ha fatto vincere l’Oscar nel 2002, e seleziona ormai accuratamente le sue apparizioni cinematografiche. La più attesa di tutte, al momento, è quella in Top Gun: Maverick, seguito del film cult degli Anni 80 che lanciò Tom Cruise e che vedremo il prossimo anno.

Per il resto, la ragazza che debuttò sul grande schermo nel 1984 in C’era una volta in America di Sergio Leone oggi è una donna che si divide tra il set e il suo ruolo di madre dei figli Stellan e Agnes, 15 e 7 anni, avuti con Bettany, e Kai, 21, nato dalla relazione con il fotografo David Dugan. «In realtà», dice Connelly sorridendo, «da quando ho portato sul set la mia gatta, i miei ragazzi credono che io voglia più bene a lei che a loro».
Fire Squad – Incubo di fuoco è un film impegnativo perché è tratto da una storia vera e perché Jennifer si è dovuta calare nei panni di Amanda, moglie dell’eroico Eric Marsh (nel film interpretato da Josh Brolin), che ha affrontato con la sua squadra di specialisti il devastante incendio di Yarnell Hill, avvenuto nello Stato dell’Arizona nel 2013, dove persero la vita in 19. Per Connelly, gli incontri con Amanda sono stati un tesoro prezioso ma anche una dura prova.
Come ci si avvicina una donna che è dovuta sopravvivere a una tragedia simile?
«Sono entrata a piccoli passi nel suo mondo. Amanda era un’ex alcolizzata, aveva cominciato a bere a 8 anni e solo a 30, quando aveva iniziato a disintossicarsi, aveva conosciuto suo marito. La loro unione era il loro equilibrio, si davano forza a vicenda. Ma l’altra grande passione di Amanda sono i cavalli, così abbiamo iniziato a conoscerci nel suo ranch».

Qual è stata la prova più difficile?
«Immedesimarmi nella vita quotidiana di Amanda: suo marito stava via per giorni, perché per spegnere gli incendi nei boschi ci vuole moltissimo tempo, e lei poteva solo attenderlo, senza poterlo chiamare quando voleva, ignorando persino dove fosse. L’unica certezza della sua vita era saperlo alle prese con quello che per altri era il pericolo e per lui il suo lavoro».
Conosceva il mondo dei vigili del fuoco specializzati negli incendi dei boschi?
«No, ed è stato davvero interessante scoprire di più su questi eroi invisibili di cui nessuno sa nulla: non è un caso che il loro motto, come dicevo prima, sia proprio “essere più che sembrare”. E poi ho imparato che questi specialisti combattono il fuoco con il fuoco: isolano gli incendi in modo che non possano proliferare. Forse potremmo applicare questa tecnica anche ad altri aspetti della nostra vita».
Nei sentimenti, per esempio?
«Io interpreto una donna schietta, ma molto dolce. Eppure ho dovuto lavorare parecchio su me stessa per trovare la sua forza e la sua resilienza. È difficile amare qualcuno intensamente come lei amava suo marito e vivere sapendo che, ogni volta che lo saluti prima di andare al lavoro, potrebbe essere l’ultima. Amanda, secondo me, era coraggiosa quanto Eric: insieme erano il fuoco che combatteva un altro fuoco, quello della paura di perdersi».
Lei è fondamentalmente una donna di città, come si è trovata a interpretare una donna di campagna?
«Vivo in una grande metropoli, è vero, ma da bambina sono cresciuta in mezzo alla natura, a Woodstock».
La città del mitico concerto del 1969? Com’è stato essere bambina in quei luoghi?
«Bellissimo, avevo prati e montagne tutti per me. Potevo arrampicarmi sugli alberi, costruire fortini, correre nel verde. Ho dei ricordi bellissimi, anche se poi ho iniziato a lavorare molto presto: avevo 10 anni quando ho fatto i primi provini come modella bambina».
Che cosa le è rimasto di quell’infanzia libera?
«Credo la voglia di esplorare, viaggiare, conoscere. Il che non vuol dire che preferirei una vita in campagna, ma amo molto la natura».
E ama la sua gatta.
«Sì, Eva, e le sono particolarmente affezionata. In famiglia abbiamo anche un cane, Pippy, e i miei figli si lamentano spesso che per quanto lo ami, Eva verrà sempre prima perché io e lei abbiamo una connessione speciale».

Ha portato con sé la gatta sul set. E i suoi ragazzi la raggiungono mai durante le riprese?
«C’erano anche loro. Abbiamo girato in estate, quando le scuole erano chiuse e mio marito non stava lavorando, così ci siamo trovati tutti a Santa Fe, in Nuovo Messico. Il più felice è stato mio figlio Stellan».
Perché?
«Lui, come anche mio figlio Kai, ha un gran talento musicale e ha portato con sé la chitarra. Una sera si è trovato davanti Jeff Bridges, che recitava con me e che è uno dei suoi miti, e si sono messi a suonare insieme mentre Agnes, che ha solo 7 anni, batteva dei bastoncini: eravamo seduti per terra, tutti impolverati, ma è stato splendido».
E che cosa ha detto suo marito Paul Bettany? Da buon londinese si aspettava un comportamento più “british” da parte dei suoi figli?
«No, in casa nostra non sappiamo più che cosa sia britannico e che cosa sia americano. Dopo qualche anno insieme gli accenti e i modi di fare si sono fusi tra loro. Sì, beviamo tanto tè, ma in fondo faceva altrettanto mio padre, che era di Brooklyn».
E i suoi ragazzi, nel rapporto coi social, come si comportano? Lei, per esempio, non ne ha.
«Per adesso siamo tutti fuori da quel mondo, tranne mio marito. Internet è una cosa bellissima, ma può nascondere delle insidie e penso che sia compito di noi genitori vigilare per proteggere i nostri figli. Un social, in fondo, è un po’ come avere una porta aperta sulla propria vita da cui chiunque può entrare e non sempre è positivo».

È questo che insegna ai suoi figli?
«Mi impegno molto perché imparino a investire le loro risorse in ciò che amano e ripeto loro spesso di essere curiosi, appassionati e onesti».
Quattro anni fa lei ha recitato nel film Shelter diretta da suo marito. Ripeterete l’esperienza? State già lavorando a qualcosa?
«A Paul quell’esperienza è piaciuta molto e ora sta lavorando a diversi progetti: uno in particolare sembra perfetto».
Ci sarà una parte per lei?
«Che ci crediate o no, ci sarà. Sarebbe uno splendido regalo».
A proposito, qual è il dono di suo marito a cui è più affezionata?
«È un ciondolo di agata che mi ha regalato per il mio compleanno nell’anno in cui ho perso mio padre. Dentro c’è una vecchia foto di papà con mio figlio Kai e dall’altra una di Paul con Stellan. Agnes non era ancora nata, quindi le ho spiegato che in quel ciondolo ci sono gli uomini della mia vita».

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