Fabio Volo: «La prossima volta che faccio l’amore metto le calze»
Scrive libri, lavora in radio e torna in tv con Untraditional, la serie in cui prende in giro il suo successo e dove recita anche sua moglie Johanna. Grazia ha incontrato Fabio Volo e ha scoperto che è disposto a fare di tutto per avere una figlia, anche seguire una strana superstizione
Siamo in un grande ufficio milanese. Prima scena. Fabio Volo è seduto e mi racconta di come dovrà fare per riconquistare Johanna Hauksdottir, la sua compagna islandese, fuggita a New York dalla sua ex moglie a causa di un presunto tradimento.
Ma che cosa sta dicendo? Stanno insieme da sette anni, hanno due figli piccoli, Sebastian, 5 anni, e Gabriel, 3. E perché io non sapevo niente? Sarà vero? «No, è solo la trama della mia seconda serie Untraditional, con me e Johanna nei panni di noi stessi, ma è tutto sceneggiato», mi spiega Volo.
Respiro di sollievo. «In effetti, c’è gente che ferma per strada Johanna per chiederle se è vero che è stata sposata con una donna». Il fatto è che in questa sit-com non è facile distinguere ciò che è vero da ciò che non lo è. Prodotta da Zerostories Itc2000 e dalla Volo Bakery Production, va in onda su Comedy Central (Sky 128) e su Mtv (Sky 130) con molti ospiti famosi, dai cantanti Nek a Emma Marrone, Fabio Rovazzi e Giuliano Sangiorgi. Alcuni nei panni di loro stessi, altri decisamente no.
Com’è nata l’idea?
«Seguo da anni serie comiche americane come quelle di Larry David, Curb Your Enthusiasm. Volevo fare anch’io qualcosa di nuovo, ma non è stato facile. In Italia c’è poca voglia di rischiare, preferiscono rifare vecchi programmi».
Qual è il vero motivo secondo lei?
«I giovani non guardano più la tv e il passato rassicura. In questo momento sono tutti a poppa e guardano a ciò che è stato. Lo spiegava bene il sociologo Zygmunt Bauman nel suo ultimo libro, Retrotopia: questo futuro è così veloce che crea stress. Noi siamo a prua e rischiamo, ma io seguo la mia creatività. Considero il mio lavoro una parte importante, ma non è tutta la mia vita. Io non ho consegnato la mia identità a Fabio Volo. Anche se quando sono in pizzeria, prima o poi arriva qualcuno a ricordarmi che lavoro faccio e a chiedermi una foto».
Con questa serie, però, è lei a mescolare le cose. Fa recitare addirittura la sua compagna. Perché?
«La trama della fiction è il tema della mia vita. Quando ti impegni tanto sul lavoro, perdi dei pezzi della famiglia. Se invece ti dedichi ai figli, diventi meno competitivo. Se penso troppo alla carriera, perdo l’attenzione di Johanna».
Per questo ha pensato di scritturarla nel film?
«Esatto. Così la vedo anche quando vado a lavorare. Per fortuna è anche brava. Mi è andata bene, altrimenti avrei dovuto trovare qualcuno che glielo dicesse. Non mi aspetto grandi ascolti, ma ci stiamo divertendo».
Per questo la metà degli italiani la ama e metà la invidia: lei si diverte lavorando e ha pure successo.
«Guadagnerei ancora più prestigio come attore, ma a fare i film mi annoio, in radio invece mi diverto. E d’estate voglio andare in vacanza con la mia famiglia, non stare su un set. Per questo vivo sempre in bilico: faccio quello che serve per garantire il mio lavoro, ma non mi ossessiona essere il primo della classe. Mentre c’è chi studia per essere il più bravo, io sono al mare. Alla fine si invecchia e tutta quella fatica che senso ha?».
Come gestisce il tempo che passa?
«Vado in palestra, faccio tatuaggi. Ma ora che ho una famiglia, la gente mi percepisce in modo diverso: come un bravo ragazzo».
Lei invece come si vede?
«Non mi sono mai riconosciuto nella definizione di “eterno Peter Pan”, cioè uno che non prende mai le sue responsabilità. Io sono uscito di casa a 20 anni e mi sono sempre fatto carico di tutto ciò che ho detto e che ho fatto. Ho tanti obiettivi nella vita, ma piacere a tutti non è uno di questi».
Che cosa insegnerà ai suoi figli?
«A me hanno sempre detto che i bambini non fanno ciò che dici, ma fanno ciò che fai. A casa mi vedono sempre con un libro in mano, la sera leggo per loro. E il libro per loro è importante. Cerco di migliorare la mia persona. Non come quelli che fumano e dicono ai loro figli di non fumare».
Lei che padre è?
«Noi uomini non abbiamo quell’attitudine che la natura dà alle donne. Mio padre non ha mai giocato con me, io invece lo faccio con i miei figli, lui era poco presente, io voglio esserci di più. Mi piacerebbe essere una vera figura paterna per loro».
E come ci riesce?
«Con la presenza. È vero che conta la qualità del tempo, ma vale anche la quantità. Conta l’accoglienza. Io sono lì, li accetto per come sono. Ciò non significa che il bambino può fare ciò che vuole, ma che qualunque dubbio e paura abbia io ci sono. Mi hanno offerto un programma in televisione all’ora di cena e ho rifiutato. Perché sto investendo sul mio futuro: quando sarò vecchio, nel letto, sarò contento di essere stato tanto tempo con i miei bambini»
E nel frattempo sta scrivendo?
«Sempre. Sto finendo la terza serie di Untraditional».
Di che cosa parlerà?
«Della fatica di mantenere un equilibrio tra famiglia e carriera. La trama sarà che Johanna ormai vive a New York e io vorrei tornare a Milano per fare un film. È il dilemma di cui dicevo prima, la mia fatica quotidiana. È il mio senso di inadeguatezza in tanti settori che mi fa sentire sempre in affanno».
Si sente più inadeguato come artista o come genitore?
«Come persona. Dato che non ho frequentato le scuole superiori, penso sempre di sapere meno degli altri, per cui studio il doppio».
Nel suo ultimo libro, Quando tutto inizia (Mondadori) il protagonista 40enne si sente schiacciato tra la generazione di vecchi ai posti di comando e quella dei giovani che incombono. Lei si riconosce?
«Sì, patisco molto la generazione prima di me. Gente di 60 anni che si cura, va in palestra e pensa di essere ancora giovane. Io ho 46 anni e sono diventato vecchio senza mai entrare nella stanza dei bottoni. Linus alla mia età era già direttore di Radio Deejay, io non posso avere ancora uno che mi dice che cosa devo fare in un lavoro che faccio da 20 anni. Intanto i giovani stanno giocando un’altra partita, con nuove regole. Lo vedi da Instagram, quelli della mia età le storie non le sanno fare».
Lei sui social ha meno follower di quanto mi aspettassi.
«Ci sono entrato tardi. E poi gente come l’imprenditrice digitale Chiara Ferragni o il rapper Fedez sono un’altra cosa. Io non ho nemmeno fatto entrare dal medico la mia mamma a vedere l’ecografia di mio figlio. Era una cosa tra me e Johanna. Loro facevano le storie su Instagram del loro bambino. Non sono meglio o peggio di loro, ma appartengo a un’altra generazione: io non riesco a pubblicare le facce dei miei figli. Se regalo a 600 mila follower la faccia di Johanna al mattino, bellissima, quando ancora sta dormendo, a me poi che cosa resta? Loro invece sanno che fa tanti “like”».
Eppure lei e la sua compagna sembrate felici sui social.
«In quelle foto ridiamo molto, nel resto del tempo siamo una coppia normale. La gente sui social mette i “greatest hits”, i momenti migliori. Ma io posso dire che la mia vita è davvero migliore del mio Instagram. Quando rido coi miei figli e faccio le foto, le tengo per me».
Però qualche traccia del viaggio in camper in California c’è. Com’è andata?
«Tutto bello, ma stancante. Appena arrivati in Italia abbiamo lasciato i bambini alla mia mamma e a mia sorella. Le mie vere vacanze sono state 48 ore da solo con Johanna. Sul taxi già ci sentivamo in colpa, però ci siamo riposati».
Pronti per un altro viaggio?
«In gennaio andremo in Oriente. Saranno gli ultimi mesi da giramondo. Dal prossimo anno Sebastian andrà a scuola e dovremo fermarci. Magari poi, quando torniamo, non avrò più un lavoro. Pazienza. Al massimo torno a fare il pane. Prima, però, vogliamo il terzo figlio, una femminuccia. Dicono che bisogna fare l’amore nudi, ma con le calze. Non so se sia vero, ma ci proveremo».
© Riproduzione riservata