L’incontro con Maria Grazia Chiuri, la direttrice artistica di Dior che ha disegnato i costumi del prossimo spettacolo dell’Opera di Roma. Il film ispirato alla sua storia di ragazza siciliana che ha conquistato i teatri del mondo. L’Étoile Eleonora Abbagnato posa per Grazia e ci porta dietro le quinte della sua vita, dove ogni successo nasce da una determinazione quasi selvaggia
Ètoile lo rimani per sempre. Anche se, quando arrivi a 42 anni, l’Opéra di Parigi ti impone l’addio. «Faremo una mega festa in dicembre. E comunque non ti tolgono la stella. Non si può. È il riconoscimento del fatto che hai ottenuto il massimo della tua carriera, il sogno di ogni bambina».
Di sicuro era quello della bambina prodigio Eleonora, nata a Palermo, che un giorno viene scelta dal mitico coreografo Roland Petit, e da lui portata in Francia dove diventa, anni dopo, prima étoile italiana del teatro dell’Opéra. Abbagnato è schietta e diretta, scherza su tutto, dal pregiudizio sulle ballerine, che sarebbero distanti, snob e rigidine («Magari è un mito che esiste perché è vero? Ma solo una percentuale, non tutte!»); al suo addio all’Opéra, che non sarà la fine del palcoscenico, anzi.
I progetti per il futuro sono molti, e molti in Italia, a partire da quelli con il Teatro dell’Opera di Roma, di cui è direttrice del corpo di ballo dal 2015, e dove dal 28 marzo al 2 aprile si esibirà in Nuit Blanche, nuova creazione del talento francese della coreografia Sébastien Bertaud, all'interno della Serata Philip Glass. Danzerà con Friedemann Vogel. I costumi del balletto sono stati disegnati dalla direttrice artistica di Christian Dior Couture Maria Grazia Chiuri.
L’incontro tra Eleonora e Maria Grazia risale ai tempi in cui la stilista lavorava da Valentino, sempre a Roma, tre anni fa: allora aveva disegnato i costumi dell’opera La Traviata. Oggi, racconta Abbagnato, «il coreografo è francese, quindi ha pensato subito a Dior per i costumi; in più c’era il mio bel rapporto con Maria Grazia, che è di Roma, italiana come me. La sua ultima sfilata a Parigi era ispirata al balletto, che lei ama molto, e sa quanto io stia insistendo all’Opera di Roma sul legame tra moda e danza classica. Sono due mondi che hanno a che fare con l’arte e la cultura».
Il vostro è stato un incontro di grandi personalità?
«Ci assomigliamo molto. Maria Grazia è una donna sincera, forte, sensibile: si vede subito dalle sue creazioni».
In che cosa, di Chiuri, si ritrova particolarmente?
«Nella forza e nella creatività, nel suo essere molto femminile e allo stesso tempo energica. Trovo molto in lei di quello che è il mio mondo, la danza».
Quanto sono forti le donne nella danza?
«In un balletto la donna deve esserlo molto, altrimenti non riesce a resistere per un’intera carriera. Il nostro è un ambiente molto competitivo Devi essere la più brava, quella che merita il titolo di étoile, quella che i coreografi scelgono. È normale, è una gara che devi vincere per realizzare il tuo sogno. E soffri quando qualcun’altra ottiene il ruolo che sognavi».
L’invidia come si manifesta?
«Con la solitudine. La migliore è sola. Ma non immaginatevi un mondo cattivo come si vede nei film. È sana competizione».
Tra i ballerini uomini non c’è invidia?
«Molta meno, i maschi sono meno competitivi. E tra di loro sono più solidali. Non mi chieda perché. Forse è la loro natura? Questa domanda non avrà mai una risposta razionale. Per una donna è sempre più difficile, ecco perché devi essere più selvaggia, perché devi resistere».
Lei in che modo è selvaggia?
«Non guardando nessun altro e andando avanti senza avere paura. È quello che ho sempre fatto. Fin da quando per studiare danza come si doveva mi sono trasferita in Francia, da sola, a 10 anni».
Che cosa significa dedicare tutta la vita al balletto? Ha mai avuto un ripensamento?
«No. Con la passione, se ami davvero quello che fai, non ti pesa mai il sacrificio. È come l’amore enorme delle madri per i figli: ti dà sempre la forza per andare avanti e non è mai stancante. Ecco, in un certo senso la danza per me è come un terzo figlio. Fa parte della mia vita e ci sarà per sempre».
Di figli ne ha due, Julia, 7 anni, e Gabriel, 4. Ballano?
«Sono come me e mio marito (l’ex calciatore Federico Balzaretti, ora dirigente della Roma, ndr): una ballerina e un calciatore. Anche se una ballerina in famiglia basta e avanza, sono contenta che Julia sarà sul palco con Rebecca Bianchi étoile dell’Opera di Roma, in Blanche Neige. Per un solo minuto, farà la piccola Biancaneve. Ma dopotutto anche io ho iniziato così. Gabriel invece è malato di calcio».
E se fosse stato il contrario?
«Perché no? Gabriel ogni tanto ci prende in giro e balla con noi, come gioco. Ma non lo vedo ballerino. Ha una potenza pazzesca quando gioca a pallone, quello sport gli piace tantissimo».
« Mi sono trasferita in Francia, da sola, a 10 anni per studiare danza »
L’insegnamento più grande da trasmettere ai suoi figli?
«La passione. Devono fare quello che amano, ed essere contenti di farlo».
La danza è una vocazione?
«Secondo me ci nasci. L’amore per la danza deve venire dalla bambina, non dalla mamma o dalle amiche. È un ambiente difficile, duro, e devi imparare a difenderti. Se lo fai solo perché lo dice la mamma, abbandonerai presto».
Quando si è dovuta difendere, lei?
«Sempre, quando vuoi e devi diventare la migliore».
Smetterà mai di farlo?
«No, per carità. Anche nel quotidiano credo occorra difendersi. Lottare, come per esempio sto facendo adesso, per far ricordare all’Italia che la danza è importante, è un patrimonio italiano tanto quanto francese».
La forza è una costruzione o una dote naturale?
«Entrambe. Da giovane è una dote, con l’età si costruisce attraverso l’esperienza, la carriera, gli incontri».
I suoi incontri fondamentali?
«Petit e Pina Bausch. Di lei ricordo la tenacia nel lavoro, il perfezionismo del movimento in ogni dito della mano, ogni dettaglio. Un lavoro pazzesco, fisicamente ed emotivamente. Non ti diceva mai “brava” dopo uno spettacolo. Ti abbracciava, respirava e basta».
Lei dice “brave” alle ballerine dell’Opera di Roma?
«Sì. Ma l’importante non è solo dirlo: bisogna fare sentire loro la fiducia».
In Francia, oltre a essere Étoile dell’Opéra dal 2013, è anche Officier de l’ordre des Arts et des Lettres, ufficiale dell’Ordine delle arti e delle lettere, e Chevalier dans l’ordre national du mérite, cavaliere dell’ Ordine nazionale al merito. E in Italia?
«Ancora niente».
Nemo profeta in patria, nessuno è profeta in casa sua?
«Non lo so. Ma per me conta il riconoscimento per la mia carriera a livello internazionale, che mi hanno sempre dato a Parigi. Grazie all’Opéra ho potuto fare tutto quello che ho fatto anche in Italia».
Dando l’addio all’Opéra, smetterà di danzare?
«Il primo anno non credo, vorrò fare anche un tour in Italia. Poi ci sono altri progetti, perfino un film su di me, ispirato alla mia storia».
Sarà diretto da Irish Braschi e prodotto da Matteo Levi: ha partecipato alla scrittura?
«No, ho raccontato la mia storia, il regista poi ha incontrato la mia famiglia, la mia amica del cuore, il mio primo partner artistico e tutte le persone importanti».
Si immagina sullo schermo?
«Non è così facile. Ci sarà anche una me bambina. All’Opera ho visto due o tre candidate al ruolo, molto carine, che mi somigliano molto. Il casting vero e proprio dovrebbe iniziare tra pochi mesi, sarà divertente».
Stavolta qualcuno interpreta lei, ma Eleonora chi vorrebbe interpretare? Una grande figura storica, magari?
«Preferirei un personaggio attuale, magari una come Madonna. Sono molto più contemporanea di quello che pensano tutti. Ma non voglio fare l’attrice, non ci penso proprio a ricominciare una carriera. E poi l’esperienza al cinema l’ho già avuta: con il film Il 7 e l’8, in cui interpretavo l’affascinante sorella di Salvatore Ficarra, e il doppiaggio di Ballerina, il film d’animazione che racconta la storia di Felicie, un’orfana che sogna di diventare la prima ballerina all’Opéra di Parigi».
La parte più impegnativa del suo lavoro?
«La concentrazione. Studiare tutti i giorni: la ballerina non smette mai di conoscersi, di scoprirsi nei ruoli. Ed essere sempre al top della forma».
Qual è la sua debolezza?
«Non avere fiducia in me».
Davvero?
«Certo. I ballerini sono molto critici con loro stessi. Ci troviamo orrendi, fisicamente e tecnicamente. Non riusciamo quasi a guardarci. Per questo credo che durante le prove registi e coreografi non debbano essere cattivi, ma incoraggiare e dare fiducia. Altrimenti sono dannosi».
Lei come ritrova la fiducia, quando la perde?
«Devo lavorare su me stessa,tutti i giorni. Cercando d’interpretare un ruolo al meglio, imparando la parte prima di chiunque altra, dando il massimo anche oltre gli orari di prove».
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