Per più di tre anni non ha accettato ruoli al cinema, ma ha lavorato solo al suo debutto alla regia. Ha imparato a cantare, ha ingaggiato Lady Gaga, ha messo in scena l’alcolismo che lo ha fatto soffrire e ha girato tutto in 42 giorni. Bradley Cooper parla a Grazia di A Star Is Born, il film che è diventato la sua ossessione
La vita di Bradley Cooper è fatta di tanti inizi. Ma forse il più memorabile di tutti è quello che sta vivendo ora, con il suo esordio alla regia: tre anni fa l’attore si è preso il rischio di non accettare più ruoli al cinema e l’8 agosto del 2015 ha salutato il suo pubblico al Theatre Royal Haymarket di Londra per la 398a replica dell’opera teatrale Elephant Man che stava portando in scena da mesi.
«L’ultima volta che ho recitato è stata quella», mi dice l’attore, e ora regista, Bradley Cooper, «poi certo, sono usciti altri miei film, ho rilasciato interviste, ma da allora ho pensato a una cosa sola: il mio film».
Il “suo film”, uno dei titoli dell’anno, è A Star Is Born (nelle sale dall’11 ottobre) remake di È nata una stella con Barbra Streisand del 1976. Se avete acceso la radio negli ultimi giorni, avrete sicuramente sentito la prima canzone tratta dalla pellicola, Shallow: un travolgente duetto tra Cooper e l’altra star del film, la cantante Lady Gaga. La storia infatti è quella di un attore e stella della musica country dalla vita tormentata, interpretata da Bradley, che aiuta a far emergere Ally, Gaga, un’aspirante cantante di grande talento.
Detta così sembra facile, ma Cooper ha messo un’attenzione maniacale a ogni dettaglio per dare sostanza a questo suo esordio dietro la macchina da presa. «Prima di affidarmi il film», racconta, «mi hanno chiesto: “Qual è il tuo approccio alla regia? Io ho risposto come avevo sentito una volta dire a Mike Nichols, il regista del Laureato: mi preparo, arrivo in orario quando tocca a me e poi do il massimo».
Il massimo di Cooper di solito basta e avanza: il 43enne in completo grigio e camicia bianca che ho di fronte a me al Fairmont Royal York diToronto, in Canada, ha raccolto tre nomination agli Oscar in tre anni consecutivi (per Il lato positivo, American Hustle e American Sniper), ha interpretato il procione Rocket nella saga spaziale I guardiani della Galassia e i suoi film hanno incassato nel mondo quasi sette miliardi di euro, grazie anche al successo della commedia di culto Una notte da leoni.
E, quando tutto andava alla grande, Bradley ha deciso di fare una pazzia. «Avevo 39 anni e la consapevolezza che, per quanto esaurito fossi, il mio tempo stava correndo in fretta: quando ho saputo che potevo dirigere A Star Is Born, ho pensato: devo farlo».
Ha sentito subito la pressione?
«Tanta gente dice che l’importante è cogliere le occasioni, anche se poi fallisci. Ma non è vero: ci sono situazioni in cui, se non fai subito bene, sei finito. Ecco, questo era ACOOPERStar Is Born per me».
Non è più facile fare il remake di un film già realizzato?
«Non credo. E poi, in questo caso, avevamo a disposizione 38 milioni di dollari per girare tutto in 42 giorni. Significava avere pochissimi soldi e ancor meno tempo per mettere insieme il film. Per fortuna, nella maggior parte delle scene, mi trovavo accanto a Lady Gaga che cantava e quindi non dovevo preoccuparmi di nulla».
In scena lei e Gaga avete una grande sintonia. Andavate d’accordo anche fuori dal set?
«Lei ha una capacità unica di nutrire chi la circonda della sua energia. E poi per me lei è Stefani, non Lady Gaga (il vero nome dell’artista è Stefani Germanotta, ndr), abbiamo anche in comune delle origini italiane».
Come è riuscito a ingaggiarla?
«Mi trovavo a una cena di beneficenza e, a un certo punto, sale sul palcoscenico Lady Gaga e comincia a cantare La Vie en Rose. Mi ha messo al tappeto».
Ricorda una scena che ha messo nel film. Poi che cosa è successo?
«Il giorno dopo ho chiesto un appuntamento al suo agente, anche perché ancora non avevo un’idea precisa di che faccia avesse Lady Gaga. Anche quando l’ho incontrata, aveva gli occhiali da sole: ma quando se li è tolti, mi ha messo al tappeto per la seconda volta. Allora ho trovato il coraggio di chiederle di cantare insieme: c’era un pianoforte e abbiamo provato Midnight Special. Quando sono tornato a casa ho detto alla produzione: nel film deve esserci lei».
Qual è stata la difficoltà maggiore che ha dovuto affrontare per questa storia?
«Dovrei dire la ricerca di una credibilità musicale, dato che Stefani è una popstar planetaria e io no, mentre nel film i ruoli erano quasi invertiti. Ma il momento che mi ha tolto davvero il fiato è stato quando mi sono trovato davanti a una folla di 80 mila persone che mi guardavano sul palco di Glastonbury, in Inghilterra».
Avevate poco budget e poco tempo, come siete riusciti a filmare delle scene al festival rock più importante d’Europa?
«Io lo frequento da anni e, con il passare del tempo, ho avuto la fortuna di conoscere gli organizzatori. Mi sembrava impossibile fare un film sulla musica e non includere Glastonbury, ma allo stesso tempo era una follia. Ho chiesto e ci hanno dato quattro minuti: 240 secondi per filmare una scena. Naturalmente abbiamo sforato, ma ci siamo riusciti».
Il film parla della celebrità: di una donna che la cerca, di un uomo che l’ha trovata ed è caduto nella spirale dell’alcolismo. Lei che rapporto ha con la fama?
«Rispondo subito, ma voglio precisare che questo film non parla dell’essere famosi. È una storia d’amore. Quanto alla celebrità, per me è qualcosa che non esiste. Forse la migliore definizione è il potere di raccontare una storia e poter raggiungere un immenso numero di persone».
Lei quando ha capito di essere diventato famoso? Quando recitava nella serie tv Alias con Jennifer Garner?
«No, dopo Una notte da leoni. In non so quale aeroporto incontrai Keith Richards dei Rolling Stones: era con la sua famiglia e stava parlando del mio film».
Non sogna mai di essere una persona normale invece di una star di Hollywood?
«No, perché ho davvero una vita normale, se si eccettua che per più di tre anni ho pensato praticamente solo a un film. L’unico momento in cui sento la parola “stella” è quando parlo con i giornalisti».
Nei suoi ultimi film, A Star Is Born, ma anche Il sapore del successo, ha interpretato uomini alle prese con la dipendenza da alcol, che lei ha superato quasi 15 anni fa. È per questo che inserisce sempre questo elemento nei suoi copioni?
«Affronto ogni sfida in modo personale, e cerco di mettere in ogni film quello che sento. Certo, nel caso di A Star Is Born, ci sono due giudizi a cui tengo particolarmente: quello degli appassionati di musica e quello di chi ha avuto una qualche forma di dipendenza».
Lei, fino a poco tempo fa, sembrava anche un workaholic, uno stakanovista del set.
«Metta nel conto anche il palcoscenico. A teatro, ho recitato Elephant Man per 398 serate. Poi ho recitato in Il sapore del successo, American Sniper, Aloha, American Hustle e così via. Ho avuto l’impressione di non essermi fermato un secondo per dieci anni».
Poi lo ha fatto e si è inventato una nuova carriera e ha anche trovato il tempo di formare una famiglia con la top model Irina Shayk, madre di sua figlia Lea, di un anno.
«E infatti la mia esistenza è totalmente diversa da come me la ricordavo. Quando cresci, capisci che nulla vale quanto il tempo che hai a disposizione per stare con le persone che ami. La vita, poi, farà il resto».
Lei era molto attaccato a suo padre, ora scomparso. Che cosa ha capito di lui, da quando è diventato a un genitore?
«Che un padre è tutto per un figlio. Io penso al mio ogni giorno e ricordo che da ragazzo volevo sempre vestirmi come lui. Mi dispiace solo che non possa essere qui a vedere sua nipote».
Guardiamo avanti. Sa che nel 2019 il suo compleanno, il 5 gennaio, sarà un giorno prima della notte dei Golden Globes?
«Non ci avevo pensato. Se volete darmi un premio, lo accetto anche in ritardo».
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