Angelina Jolie: «Con tutta la forza che ho»
I film da regista, la lotta contro le molestie, il ruolo di madre single. Angelina Jolie racconta a Grazia la sua vita dopo l’addio a Brad Pitt. Dove qualsiasi scelta è una dimostrazione di quella determinazione femminile che non accetta sopraffazioni
È lei, è lei! Sta arrivando», sussurra qualcuno alle mie spalle. Un reverenziale silenzio cala nella sala, tutte le teste si voltano nelle stessa direzione, ed è come se il mondo cominciasse a muoversi al rallentatore: alzo gli occhi ed ecco Angelina Jolie, 42 anni, accompagnata dal figlio Pax, 14, che scende da una rampa di scale appoggiata al corrimano. Noto prima le scarpe color cipria dal tacco undici, poi i pantaloni di cachemire grigi a sigaretta, infine una mantella color tortora, la stessa che indosserà il giorno successivo all’Eliseo, durante l’incontro con la “première dame” Brigitte Macron, moglie del presidente francese Emmanuel Macron.
«Allora, è davvero così bella?», mi chiede qualche ora dopo mia figlia 17enne mentre le consegno un foglio di quaderno con dedica e autografo della star americana (la scrittura è angolosa, la firma indecifrabile). Sì, le confermo. Una bellezza posata, dolce. Ed è questa dolcezza a sorprendermi, in particolare dopo tutto quello che è stato detto e scritto sulla presunta durezza e intransigenza con cui gestisce la separazione da Brad Pitt dal settembre del 2016. Nel corso della nostra intervista, Angelina si soffermerà sull’importanza della gentilezza, ereditata da sua madre, Marcheline Bertrand, morta nel 2007 a 56 anni.
Ma per ora torniamo al nostro primo contatto visivo nelle lussuose sale della boutique Guerlain, sugli Champs-Élysées di Parigi. Volto del profumo Mon Guerlain, Angelina Jolie è venuta a presentare la nuova Eau de Parfum Florale (vedi anche pagina 208) accompagnata dai suoi sei figli: Maddox, 16 anni, Pax, 14, Zahara,13, Shiloh,11, e i gemelli Vivienne e Knox, 9. Da quando Brad Pitt non vive più con loro, l’attrice non si separa mai dalla sua numerosa famiglia. «I ragazzi sono tutti qui», mi conferma un membro dello staff mentre Angelina sparisce con Pax in una saletta privata.
«Con loro ci sono anche tre istitutori, così non rischiano di rimanere indietro con i compiti». A Los Angeles, dove nella primavera scorsa l’attrice ha comprato una nuova casa da 25 milioni di dollari nel quartiere di Los Feliz con fontane, cascatelle e piscina, i tre figli adottivi e i tre avuti da Pitt ricevono un’educazione a domicilio; tra le materie che la loro madre ha introdotto nel piano di studi ci sono l’arabo, la lingua dei segni e, a quanto pare, anche l’arte della profumeria: scopro infatti che Guerlain ha organizzato per loro un corso privato con il celebre “naso” della maison, Thierry Wasser (ma alla fine solo Pax assisterà alla lezione con la mamma).
Come stanno superando, tutti e sei, il trauma della separazione dei loro genitori? Avrei voluto chiederlo ad Angelina ma il team americano che si occupa delle sue relazioni pubbliche ha escluso domande su figli e divorzio. La star è sempre attenta alla comunicazione anche se dichiara di non badare a quel che la gente dice di lei. «Non ho mai sperato d’essere compresa o accettata», conferma quando ci ritroviamo sole in un salottino. «Lascio agli altri la libertà di pensare quello che vogliono. Su un solo punto sono intransigente», precisa. «Nessuno potrà mai affermare che io non sia una persona benintenzionata».
Angelina s’interrompe per bere un sorso di tè e, quando porta la tazza alle labbra, la mantella scivola dalla spalla nuda rivelando sul braccio sinistro uno dei suoi numerosi tatuaggi. «È vero», le dico, «nessuno può negare il suo impegno umanitario in favore dei bambini e, in particolare, delle donne». E poi le chiedo:
Lei, che ha accusato il produttore Harvey Weinstein d’averle fatto avance inopportune, pensa che tutto quello che sta succedendo col movimento #MeToo possa contribuire a vincere la battaglia per la parità dei sessi?
«Ogni parola, ogni atto conta. Ci sono molti modi di battersi contro le discriminazioni. L’ho constatato lavorando con l’associazione The preventing sexual violence initiative (“L’iniziativa per la prevenzione della violenza sessuale”, ndr), che ho cofondato cinque anni fa, o nelle mie missioni per il Centre for women peace and security (“Centro per la pace e la sicurezza delle donne”)».
Di che cosa si tratta?
«Di un programma che ho messo a punto in collaborazione con la London School of Economics nel 2015 e che si pone l’obbiettivo di mettere fine allo stupro come arma di guerra. Una causa a cui mi sono interessata mentre dirigevo il film Nella terra del sangue e del miele, sul conflitto nell’ex Yugoslavia. Non è possibile immaginare con ottimismo il futuro in un mondo dove i crimini contro le donne restano impuniti».
Anche il suo ultimo film da regista, Per primo hanno ucciso mio padre, parla di un conflitto, il genocidio cambogiano raccontato con gli occhi di una bambina. Lei ha un legame forte con la Cambogia. Come mai?
«È il Paese che mi ha vista rinascere. Nella vita di tutti noi c’è un viaggio, un incontro, un libro che ci costringe a rimetterci in questione e ci rende migliori. La Cambogia ha avuto questo effetto su di me appena ne ho varcato i confini (per il film Lara Croft: Tomb Raider, ndr). Mi ha aperto gli occhi sul destino tragico dei rifugiati ed è diventata una sorta di seconda casa. Non è casuale che sia il Paese d’origine del mio primo figlio, Maddox».
Come è maturata in lei l’idea di adottarlo?
«È stato durante il mio secondo viaggio. Nutrivo già molto rispetto per il popolo cambogiano, così intelligente, così pieno di grazia. Un popolo che poteva abbandonarsi all’amarezza e alla rabbia per gli orrori subiti e che, invece, ha saputo guardare avanti. Un giorno, ricordo, ho avuto una sorta di premonizione».
Dove le è successo?
«Mi trovavo in un orfanotrofio. Stavo giocando con un bambino seduta sul pavimento quando, all’improvviso, ho pensato: mio figlio è qui. L’idea di diventare madre si è trasformata in certezza, anche se fino a quel momento ci avevo pensato solo vagamente».
Quindi, quando ha diretto Per primo hanno ucciso mio padre, che le è valso la candidatura al Golden Globe per il miglior film straniero, ha dovuto misurarsi con una forte carica emotiva.
«Sì, ed è stato uno stimolo. Ero fiera di filmare un Paese in cui mi sento accettata e benvoluta. La Cambogia mi ha fatto subito sentire degna di essere la madre di uno dei suoi figli».
Ha rivelato di aver detto sì alla collaborazione con Guerlain perché l’universo olfattivo della maison francese la riporta all’infanzia. In che modo?
«Mia madre si truccava poco ma, quando ero piccola, i rari prodotti cosmetici che usava erano firmati Guerlain. Crescendo, ho cominciato ad associare il brand a una certa visione della femminilità che condivido».
E come la descriverebbe?
«Una donna non ha bisogno di mostrare i muscoli per dimostrare di valere. Credo nel potere della dolcezza, della sensibilità e della gentilezza. È la forza di noi donne, e anche questo l’ho imparato da mia madre».
Come la ricorda?
«In lei non c’era nessuna forma d’aggressività. Si scusava in continuazione d’essere troppo gentile, ma erano proprio la sua bontà e la sua tenerezza a sostenermi. Agli uomini avrei voglia di dire: permetteteci di essere noi stesse, non costringeteci a perdere la nostra femminilità per sentirci meno vulnerabili».
Lei ha subìto l’asportazione preventiva dei seni e delle ovaie a causa di un alto rischio di cancro. Perché ha deciso di parlarne pubblicamente?
«In materia di salute, la conoscenza è importantissima. Avrei voluto che mia madre sapesse di poter ridurre le probabilità d’ammalarsi. Io ho avuto questa opportunità, mi sono sottoposta a dei test genetici e ho optato per una chirurgia preventiva. È stata una scelta personale, e non dico che tutte le donne dovrebbero fare come me. Ma tutte le donne hanno il diritto di sapere che questa possibilità esiste».
« Essere punk, e per certi aspetti lo sono ancora, significa non accettare lo status quo, battersi perché le cose evolvano in meglio »
È anche l’inviata speciale dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati. La volontà di cambiare il mondo in meglio da dove le viene?
«Dal mio passato punk. Essere punk, e per certi aspetti lo sono ancora, significa non accettare lo status quo, battersi perché le cose evolvano in meglio, anche se a volte si ha la tendenza a oltrepassare i limiti».
Se dovesse riconoscersi un merito, quale sarebbe?
«So amare le persone per quello che sono, le accetto senza pregiudizi. La bellezza risiede nella diversità, che è il sale della vita e la rende più interessante».
Qual è il suo prossimo progetto come regista?
«Per il momento non ne ho. In compenso, come attrice, dovrei cominciare presto le riprese del sequel di Maleficent» (ispirato a La Bella addormentata, ndr).
Come si vede nei panni della protagonista, una strega?
«È un ruolo interessante. Mostra un altro modo di essere donna e d’incarnare la femminilità. E, poi, non ha niente di noioso. Nella vita bisogna anche trovare il tempo di divertirsi».
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