Chi è Halston, il leggendario stilista protagonista della nuova serie TV Netflix di cui tutti parlano
Riassumere le incredibili vicissitudini di Roy Halston Frowick - noto più semplicemente come “Halston” - in poche puntate non dev’essere stato facile. Di cose da dire sullo stilista statunitense che Karl Lagerfeld ha definito come l'inventore del «vero stile americano» ce ne sono infatti davvero tante. Eppure Ryan Murphy, co-produttore della miniserie omonima, uscita su Netflix lo scorso 14 maggio, sembra essere riuscito nell’impresa.
Nonostante le recensioni discordanti e le immancabili polemiche - la famiglia del creativo non avrebbe gradito particolarmente la rappresentazione messa in scena sullo schermo, bollandola come imprecisa e romanzata - la serie è già balzata ai primi posti della top ten della piattaforma di streaming e ha l’indiscutibile merito di aver riacceso i riflettori su una delle personalità più iconiche e influenti del XX secolo.
“Becoming Halston”, “Versailles”, “The sweet smell of success”, “The party's over” e “Critics” sono i titoli dei cinque episodi che passano in rassegna la storia del geniale creativo (interpretato da un grandioso Ewan McGregor), dagli esordi come modista nei primi anni '60 al successo internazionale, fino al rovinoso declino aggravato dall’abuso di droghe e da scelte d’affari sbagliate.
Gli esordi
Originario dell’Iowa, Halston esordisce come hat designer a Chicago per poi approdare a New York nel 1958 dove, ventiseienne, diventa il capo modista del grande magazzino di lusso Bergdorf Goodman.
I suoi cappelli riscuotono un certo successo ma la svolta arriva nel 1961, quando Jackie Kennedy indossa una delle sue creazioni in occasione della cerimonia di insediamento alla presidenza del marito. Si tratta del celebre modello “pillbox”, che nel giro di pochissimo diventa un must.
Dai cappelli all’abbigliamento
I tempi cambiano e con essi le mode: alla vigilia degli anni ‘70 i cappelli si vendono sempre meno e Halston decide di reinventarsi, lanciandosi nel mondo dell’abbigliamento. Apre la sua casa di moda e insieme ai suoi collaboratori - tra i quali figurano l'illustratore Joe Eula e la modella Elsa Peretti, che diventerà in seguito un nome di spicco nel panorama del jewelry design - inizia a sperimentare con tagli, volumi e materiali.
Halston elimina orpelli e sovrastrutture, “liberando” il corpo delle donne: realizza caftani a motivo tie-dye, tute e abiti a colonna tagliati in sbieco, chemisier e trench in “Ultrasuede”, un tessuto simile al camoscio impermeabile e lavabile in lavatrice. È un successo. I suoi capi diventano la perfetta espressione di quel gusto glamour e moderno tipico dell’American style.
La Battaglia di Versailles
Lo stilista non solo ha contribuito in maniera determinante a definire la moda americana di quegli anni, ma anche a farla conoscere in tutto il mondo. Nel 1973 prende parte alla cosiddetta “Battaglia di Versailles” insieme a Oscar de la Renta, Bill Blass, Anne Klein e Stephen Burrows, chiamati a sfidare la loro controparte francese - composta da Hubert de Givenchy, Pierre Cardin, Emanuel Ungaro, Marc Bohan per Christian Dior e Yves Saint Laurent - in passerella.
L’evento organizzato da Eleanor Lambert (altra eclettica figura del periodo, ideatrice tra le altre cose anche della New York Fashion Week) vedrà trionfare, a dispetto delle aspettative, gli Stati Uniti. Saint Laurent ammetterà di apprezzare la cultura innovativa, colorata e fuori dagli schemi portata in scena dagli stilisti made in USA.
Le Halstonettes
In netto anticipo rispetto ai tempi, Halston ha sempre avuto ben chiara l’importanza del ruolo delle influencer. Nel corso della sua carriera ha vestito celebrities del calibro di Cher, Pat Cleveland, Anjelica Huston, Diana Ross. È suo l’abito rosso che che Bianca Jagger indossa quando si presenta allo Studio 54 - di cui il designer è ospite fisso - in sella a un cavallo bianco; sue le mise che Liza Minnelli sfoggia durante i suoi show; suo l’abito dai toni pastello indossato da Lauren Hutton alla cerimonia degli Oscar nel ‘75.
Indossando i suoi abiti, le it girl dell'epoca - chiamate con l’appellativo di “Halstonettes” - hanno contribuito enormemente a dare visibilità al marchio.
Il declino
In circa dieci anni Halston crea un vero e proprio impero. Nel 1973 il primo passo falso: vende il brand per 16 milioni di dollari, pur restando a capo della direzione creativa. Grazie a un colossale sistema di licenze comincia a produrre di tutto: disegna le divise per le hostess di diverse compagnie aeree e firma set di valigie, profumi, biancheria per la casa, persino parrucche. Ma il sistema si rivela nel corso del tempo meno fruttuoso del previsto.
Il tracollo vero e proprio avviene nel 1983, quando lo stilista crea una linea low cost per la catena di grandi magazzini JC Penney. Un’operazione commerciale piuttosto comune oggi - basti pensare alle capsule collection realizzate a cadenza regolare da grandi stilisti per il colosso del fast fashion H&M - che si rivela un flop e che in poco tempo svaluta il marchio. Bergdorf Goodman e altri rivenditori delle sue linee cancellano gli ordini.
A peggiorare ulteriormente la situazione è lo stile di vita sempre più sregolato che il designer conduce e che lo porta a licenziarsi e a perdere il diritto a usare il suo nome.
Halston oggi
La casa di moda esiste ancora nonostante abbia perso il lustro di un tempo. Dalla morte del designer - avvenuta nel 1990 per complicazioni legate all’AIDS - diversi imprenditori e stilisti hanno provato a rilanciare il marchio (inclusa Sarah Jessica Parker che ha rivestito il ruolo di presidente e chief creative officer dell’azienda nel 2010), con scarso successo.
In compenso la serie TV sembra aver risvegliato un certo interesse da parte degli utenti. Su Stylight, la più grande piattaforma di ricerca di moda, beauty e design al mondo, il brand Halston Heritage ha visto un incremento dei clic del +209% durante i 3 giorni successivi al lancio, mentre su Google il termine di ricerca “Suede Dress” è cresciuto del +426% dal giorno dell’uscita della serie a oggi.
Ph. credits: Courtesy of Netflix, Getty Images
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