Zoe Saldana: Anche per i miei figli sono una guerriera blu
Ancora oggi, quando racconta il primo incontro con il suo personaggio in Avatar, Zoe Saldana non trattiene l’emozione. «Non avevo idea di che aspetto avrei avuto al cinema», racconta. «L’ho scoperto il giorno in cui sono andata nell’ufficio del regista, James Cameron, e sul tavolo c’era un modellino di Neytiri».
La sua principessa aliena che, sullo schermo, è alta circa 3 metri, torna al cinema, a 13 anni dalla prima uscita del film e circa tre mesi prima dell’arrivo nelle sale del nuovo attesissimo capitolo, Avatar - La via dell’acqua, che uscirà il 14 dicembre. Il primo di una serie di quattro sequel già in lavorazione.
La sfida, non facile, sarà superare il successo del primo che, grazie anche alla sorprendente tecnologia in 3D, incassò quasi 3 miliardi di dollari e vinse tre dei sei premi Oscar a cui era stato candidato.
Saldana, che nel 2009 aveva 31 anni, lavorava nel cinema già da una decina, ma non era un’attrice famosa. Per dirlo con parole sue: «Ero solo una ragazza del Queens che recitava per vivere». Ricorda che quando Cameron la chiamò al telefono «per dirmi che la parte era mia stavo cambiando il pannolino alla mia nipotina: pulire un neonato non è mai stato così piacevole», dice ridendo.
Il regista, nel 1997, aveva diretto un altro film che ha fatto la storia del cinema, Titanic. «Per me, era un idolo assoluto», dice Saldana, «così come gli altri attori di Avatar, a partire da Sigourney Weaver: il tenente Ripley, il suo personaggio in Alien, era una delle mie eroine preferite. Ma dopo l’entusiasmo dei primi minuti, mi sono resa conto che avrei dovuto cominciare subito a preparami per la parte. Neytiri è una guerriera, conosce le arti marziali, si arrampica sugli alberi. Mi sono allenata tantissimo per poter correre ed essere agile come lei».
Avatar utilizzava la tecnica chiamata “motion capture”, grazie alla quale movimenti ed espressioni degli attori vengono “trasferiti” alle loro versioni virtuali realizzate con la grafica computerizzata. «Ogni giorno entravo in questa stanza dove si gelava dal freddo. Recitavo con addosso una tuta ricoperta di sensori mentre le telecamere mi inseguivano ovunque. Ho dovuto disimparare gesti e movimenti umani e imparare il Na’vi, la lingua che parla il popolo di Neytiri. È stato un grande esercizio di immaginazione, è stato un po’ come tornare bambina».
Dalla fantasia alla realtà, Avatar le ha cambiato la vita. Non solo perché ha fatto decollare la sua carriera a Hollywood.
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