Ero in quinta superiore e avevo ancora il mio lavoretto in pasticceria, quello che mi aveva donato le ali della libertà.
Quello che, allora, credevo di aver soffiato alla mia amica. Ma Giulio si era affezionato a me, mi stava insegnando un mestiere e seppure qualche volte fosse costretto a riprendermi perché chiacchieravo un po’ troppo, mi faceva sentire parte della famiglia. Non si arrabbiò nemmeno quando sbagliai a battere uno scontrino da sessanta milioni.
Andai da lui con le gambe tremanti, gli mostrai il mio disastro fiscale e lui disse: “non ti preoccupare, il commercialista mi dirà cosa fare.”
Lavorare da Giulio mi piaceva tanto.
Tra un caffè e l’altro, mi dilettavo con la pasticceria. Avevo imparato a guarnire le barchette di frutta, a farcire i cannoli e in segreto, mi era stata svelata la ricetta del Dolce Amore: uno dei cavalli di battaglia.
Avevo imparato i nomi di tanti clienti, che aggiungevo al buongiorno: loro si compiacevano che io li ricordassi, diventavano più gentili, più disinvolti.
E avevo imparato che sapevo cavarmela.
L’unico effetto collaterale di questa piacevole esperienza di vita era la boutique che stava accanto alla pasticceria: Rossetti.
Era un negozio splendido che vendeva Missoni, Jil Sander, Kenzo. Aveva quattro vetrine: due davano su Viale XX settembre, le altre su Via Pretorio. Le guardavo sognante, immaginando l’emozione che mi avrebbe provocato indossare anche uno solo di quegli abiti eleganti e colorati.
Le titolari erano due sorelle molto somiglianti. Entrambe, seppure sofisticate, avevano stili diversi: Silvia sfoggiava completi in giacca abbinati a mocassini, Chicca invece prediligeva gli abiti di Missoni, di cui era una vera testimonial.
Venivano a fare colazione da noi, le studiavo da dietro il bancone, cercando di capire come riprodurre le loro combinazioni, ma allora Zara non c’era e i miei piccoli guadagni, sommati alla paghetta, non sarebbero bastati per un total look Rossetti.
Ma avrei finito la scuola, avrei trovato un lavoro a tempo pieno e avrei devoluto parte del mio stipendio allo shopping. Presto o tardi, sarei entrata in quel negozio e avrei comprato il mio primo pezzo di Missoni.
Ci misi un po’, ma venne il primo e con gli anni ne arrivarono altri.
Grazie a quelle ragazze, scoprii che i coniugi Missoni avevano trasformato una piccola officina di maglieria in un impero e io avrei garantito loro una rendita a vita. Così fu.
Le Rossetti hanno ceduto l’attività un paio di anni fa e la mia piccola città ha perso una sua istituzione. A me restano i ricordi che indosso spesso e volentieri.
Ripenso a quelle vetrine colorate, alle lavagnette eleganti su cui erano scritti con il gesso, descrizioni e prezzi degli oggetti esposti, e a quanto mi facevano stare bene, anche ai tempi della scuola.
Poi penso a Giulio e non posso fare a meno di chiedermi: non sarà sua la colpa della mia Missoni mania?
Illustrazione di Valeria Terranova

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