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Vinicio Marchioni: “Apro gli occhi ai maschi fragili”

Vinicio Marchioni: "Apro gli occhi ai maschi fragili"

foto di Claudia Catalli Claudia Catalli — 21 Agosto 2025
Marchioni Mostra Cinema Venezia
Un padre dispotico, un marito in lotta con l’ex, una guida saggia. L’attore Vinicio Marchioni porta a Venezia tre film in cui interpreta tre ruoli maschili molto diversi. Perché è convinto che solo facendo riflettere gli uomini sui loro comportamenti sbagliati sconfiggeremo gli errori del patriarcato

Ha compiuto 50 anni il 10 agosto e, dopo aver spento le candeline in famiglia, festeggerà alla Mostra del Cinema di Venezia, dove presenterà ben tre film. È un ritorno alle origini per Vinicio Marchioni, che venne a Venezia per il suo primo film da protagonista, 20 sigarette di Aureliano Amadei, sull’attentato del 12 novembre 2003 contro la base militare italiana di Nassiriya. Ci torna 15 anni e 40 film dopo, interpretando due padri diversissimi, un padre-padrone malavitoso in Ammazzare stanca di Daniele Vicari e un genitore vulnerabile in L’isola di Andrea di Antonio Capuano, più una guida paterna in Orfeo di Virgilio Villoresi.

Con quale emozione arriva a Venezia?
«Con la gioia di tornare in uno dei festival più importanti del mondo. Non immaginavo che tutti e tre i film che ho girato l’anno scorso venissero selezionati per la Mostra. Sono contento per i tre autori, sono artisti e grandi personalità con un’etica, uno sguardo e una visione fuori dal coro. Sono onorato, questa Venezia per me sarà una grande festa».

Partiamo da Ammazzare stanca. Chi è il suo Giacomo Zagari?
«Un boss della ’ndrangheta dagli Anni 70 agli Anni 90: il film abbraccia un trentennio. È una sorta di soldato animalesco, non ha nulla di umano e ragiona per ordini militari da eseguire a tutti i costi, senza commentare. Un padre che non dialoga non ha niente di normale. Non c’entra nulla con noi padri “aperti” del 2025 e con tutte le messe in discussione della figura maschile di oggi».

Ha scelto più volte di raccontare maschi violenti, da Romanzo Criminale a Diamanti. Come mai?
«Raccontare il male serve».

A che cosa?
«Intanto, quando gli uomini violenti vanno al cinema devono vedersi rappresentati, con la speranza che, guardando gli effetti e le conseguenze di certe azioni sullo schermo, possano riflettere su quello che fanno provare alle persone intorno a loro. Poi serve anche come elemento di discussione: più parliamo di violenza di genere, meglio è. E dobbiamo parlarne noi uomini per primi, anche tra di noi. Non se ne può più di tutti questi femminicidi e io non ho mai avuto paura di macchiarmi la fedina penale cinematografica: dato che faccio l’attore, interpreto l’essere umano anche nel suo lato più oscuro».

Tutto il contrario del suo meccanico innamorato in C’è ancora domani di Paola Cortellesi, del 2023.
«Tantissimi uomini “normali” che rispettano, dialogano, collaborano e s’interrogano sul maschile grazie a quel film si sono resi conto che un atteggiamento maschilista ce l’abbiamo nel Dna, perché viene da millenni di cultura patriarcale e oscuramento del femminile. I film servono ad aprirci gli occhi».

Che cosa ha provato mettendosi nei panni di un padre che si contende il f iglio con l’ex in L’isola di Andrea?
«Mentre recitavo, ho realizzato che noi uomini siamo fragilissimi. Siamo di cristallo, basta una crepa per andare in mille pezzi e non essere più riconoscibili. Purtroppo, quando un uomo si crepa può fare cose orrende, specie se non ha gli strumenti culturali per fermarsi. Qui interpreto un padre che perde le proprie sicurezze da un giorno all’altro».

Il f ilm è incentrato sull’affidamento di un f iglio.
«Racconta i giorni in cui la coppia (lei è Teresa Saponangelo, ndr) parla con le psicologhe e il giudice minorile che deciderà a chi affidare il figlio in fase di separazione. Ho riflettuto su quanto ogni genitore debba mettere da parte gli egoismi per pensare al “noi”. Ci sono tante sfumature della coppia, quella genitoriale deve essere costruita e durare al di là di quella di amanti. Bisogna lavorarci sempre e con attenzione, perché un figlio vuole solo l’amore intorno, respirare sicurezza e serenità. Qualcosa che so- migli a una casa, di qualunque colore sia».

Inf ine c’è Orfeo di Virgilio Villoresi.
«Lì interpreto solo un piccolo ruolo, un Virgilio che traghetta Orfeo facendogli aprire porte lungo il suo viaggio. Forse anche lui potrebbe essere considerato un padre, perché gli fa vedere un altro punto di vista e accettare di non conoscere tutto nel proprio percorso di vita. Mi porto via questo dal film: accettare il rischio e andare avanti lo stesso con coraggio. Oggi abbiamo perso completamente l’idea di mistero, vogliamo conoscere tutto, essere informati su tutto, avere chiaro tutto. Mi sembra che viviamo una forma di ipnosi collettiva, abbiamo perso il contatto con il mistero della vita, della morte, della natura».

Come ha festeggiato i suoi 50 anni?
«Ho riunito i miei migliori amici e le persone più importanti della mia vita nel mio paesino di origine, Torre Melissa, con una cena in un agriturismo sperduto tra le colline calabresi. Abbiamo ballato la musica tradizionale e aspettato l’alba, salutando il sole in riva al mare dopo aver fatto un bagno. La vita va festeggiata sempre, perché non è mai scontata».

Un bilancio di questi primi 50 anni?
«Ho sempre la sensazione di scrivere sulla sabbia e di dover ancora fare tutto. Sarà che vengo dal teatro, dove ogni anno si recita in uno spettacolo senza sapere se l’anno successivo si ripeterà. Lì mi sento appagato, da 25 anni interpreto i grandi protagonisti: in settembre porterò in scena il Riccardo III di Shakespeare. Il cinema per me è l’incontro con i registi visionari, ogni ruolo mi ha permesso di riflettere su quello che sono e le dinamiche che ho dentro. I 50 anni portano maturità, anche le disillusioni aiutano a prendere le distanze e a rasserenarsi su tante cose. Poi fino ai 50 anni in questo Paese sei solo una giovane promessa».

Chi sente di essere oggi?
«Un padre per i miei figli adolescenti (Marco, 14 anni, e Marcello, 12, ndr), un compagno di vita per Milena (Mancini, attrice, ndr), un attore, uno scrittore, un regista, un figlio ancora per mia madre, un fratello per mio fratello, e chissà quante altre cose ancora. So di dover migliorare molto, nell’ottica della felicità, se esiste. Ma adesso che parlo di fronte al mare dove sono cresciuto, la sento».

Il suo romanzo Tre notti (Rizzoli) diventerà un f ilm?
«L’idea c’è, ho cominciato a scriverne un adattamento e mi piacerebbe dirigerlo».

Foto di ALESSANDRO TREVES

© Riproduzione riservata

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