di Enrica Brocardo
Nel mondo si attende un vaccino anti Covid-19 e quello sviluppato in collaborazione fra l’università di Oxford e l’azienda Advent di Pomezia (Roma) ha appena iniziato la Fase 3, quella della sperimentazione sull’uomo, anziani e bambini compresi. In molti altri casi, però, non si dice quasi mai che i test dei farmaci non riguardano in modo generico gli esseri umani ma, nello specifico, i maschi, e solo loro. È un tema che l’attivista inglese Caroline Criado Perez affronta nel suo libro Invisibili (Einaudi), nel quale mette in evidenza come il considerare gli uomini lo standard universale, e le malattie unisex, sia all’origine di una lunga serie di errori.
Partiamo da un dato di fatto: il coronavirus ha colpito più gli uomini delle donne.
«All’inizio si pensava che potesse dipendere dal distanziamento sociale, meno praticato dai maschi, o dal fatto che si lavassero le mani meno di frequente. Ma, oggi, sembrerebbe dimostrato che gli uomini non si infettano più facilmente: è la percentuale di decessi che è più alta».
Ci sono ricerche in corso per capire la ragione?
«Il problema è che mancano studi disaggregati per sesso. Servirebbero non solo dati separati sulle morti, ma anche sulle persone risultate positive».
Molti hanno suggerito che a fare la differenza sia il sistema immunitario delle donne.
«Ma fino a oggi la medicina si è concentrata soprattutto su quello degli uomini nella convinzione che fossero uguali, idea che si è dimostrata sbagliata. Come prova uno studio del 2016: alcuni ricercatori esposero cellule maschili e femminili agli estrogeni, poi a un virus. E scoprirono che solo quelle femminili utilizzavano gli estrogeni per sconfiggere l’infezione. Eppure vediamo che, per certe malattie, i medici utilizzano terapie a base di estrogeni anche per gli uomini. Funzionano? I risultati di quella ricerca direbbero di no. Il problema è che la maggior parte degli studi viene condotto su cellule, o individui, maschili o in maniera indifferenziata».
Vale anche per il vaccino contro il Covid-19?
«Quello di Oxford lo stanno testando anche sulle donne, ma in altri laboratori non stanno facendo altrettanto. Nonostante molti chiedano, da tempo, che ci siano vaccini specifici a seconda del sesso».
Il coronavirus potrebbe dare la spinta agli studi sul funzionamento del corpo femminile?
«Questa è la domanda da un milione di dollari. Speriamo. Ma c’è dell’altro: se continueremo a escludere le donne dalla discussione delle strategie post crisi, continueremo a ripetere gli stessi errori. Gli esempi sono tanti. Nel 2014, durante l’epidemia del virus Ebola in Sierra Leone, alla popolazione africana vennero forniti prodotti alimentari ma non l’acqua, in un territorio dove le donne dovevano percorrere chilometri per arrivare alla fonte più vicina. Oggi la fine dell’isolamento in casa avviene senza far ripartire le scuole. E questo penalizza ancora le donne».
Articolo pubblicato sul numero 24 di GRAZIA (28 maggio 2020)
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