«Svegliarsi una mattina e decidere di bombardare qualcuno»: l'editoriale di Silvia Grilli

Ci sono questi uomini che si svegliano una mattina e decidono improvvisamente di bombardare qualcuno, senza prima avvisare nessuno, dopo aver insistito per mesi di volersi tirare indietro dalle guerre degli altri.
Come ha fatto Donald Trump, il presidente più imprevedibile della storia, che si vantava di mettere fine a tutti i conflitti, auto-candidandosi a quattro o cinque Nobel per la Pace. Invece appoggia la guerra a Gaza, tollera quella in Ucraina, si è infilato il cappellino rosso “Make America Great Again” e, a uso dei follower sui social media, si è fatto fotografare nella Situation Room (alla Casa Bianca il centro di gestione delle crisi) mentre dà il beneplacito al massiccio bombardamento degli impianti nucleari iraniani.
Non che sia sbagliato rovesciare un regime canaglia come quello degli ayatollah, che sostiene i peggiori terroristi responsabili della strage del 7 ottobre in Israele, reprime ogni libertà, uccide i dissidenti e tortura le donne. Anzi, sarebbe edificante abbatterlo.
Ma dubito che a Trump importi qualcosa delle donne e dei gay incarcerati, piuttosto gli interessa mettere la sua bandierina in caso di successo e poter passare alla storia, come non era invece riuscito ai suoi predecessori. Bill Clinton, George W. Bush, Barack Obama, Joe Biden ci avevano pensato, ma non avevano mai osato la forza militare contro l’Iran.
Poiché, come abbiamo avuto modo di capire, Trump non ha nessuna strategia se non il proprio interesse del momento e il proprio narcisismo, ogni sua azione è preoccupante. Mi hanno colpito i volti di chi lo circondava, mentre annunciava di aver sganciato bombe sull’uranio arricchito iraniano.
I visi senza espressione del suo vice presidente, del suo Segretario di Stato, del suo Segretario alla Difesa sembravano appartenere ad automi, congelati per paura di tradire un’emozione che potesse essere interpretata come dubbio o contrarietà. È l’immagine del despota senza opposizione. Come altri despoti, d’altronde.
Eppure per placare la nostra ansia di umanità sul crinale della terza, e definitiva, guerra mondiale, non ci resta che tifare per il re dei social media Donald Trump, sperando che finisca presto questo reality show di ordigni telecomandati.
Non ci resta che pregare che il regime teocratico dell’ayatollah Ali Khamenei capitoli, che si risparmino i civili iraniani già tanto provati da una dittatura feroce e che presto uno straordinario movimento di massa antiregime spodesti i Guardiani della rivoluzione islamica.
Ma se è vero che la maggioranza degli iraniani non ne può più di vivere in quella dittatura religiosa, le persone sotto le bombe a Teheran sono un lavoro sporco da nascondere dietro le cosiddette “operazioni chirurgiche” con cui si attaccherebbero solo obiettivi militari.
Credo che ormai anche i suoi sostenitori di casa nostra abbiano capito che il pacifismo trumpiano non esiste. Che qui c’è una guerra dietro l’altra nel disordine globale, mentre noi stiamo a guardare, inermi, senza più parole, maschi potenti che giocano a chi sia il numero uno al mondo fregandosene delle vite degli altri, del pensiero degli altri, della libertà degli altri e puntando solo a diventare leggenda.
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