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Stefano Accorsi: «Io, Stefano, oltre lo sguardo degli altri»

Stefano Accorsi: «Io, Stefano, oltre lo sguardo degli altri»

foto di Silvia Grilli Silvia Grilli — 5 Settembre 2022
Il giorno in cui si ricordò che voleva fare l’attore. Il provino con un grande regista dopo un’estate trascorsa a fare il bagnino. I mesi sul Mississippi a girare il suo primo film. Lo scambio di amore e conoscenza con le donne che ha amato. Gli anni a Parigi in cui si sentiva dimenticato. Il finto bacio sul set con la moglie Bianca, il loro matrimonio e la loro famiglia allargata. L’attore Stefano Accorsi posa per Grazia in Sicilia e racconta le passioni della sua imprevedibile vita, simile a un film in cui tutto può accadere
Stefano Accorsi

Stefano Accorsi e io ci ritroviamo per questa intervista dopo aver scattato a Donnalucata, in Sicilia, le foto che vedete in queste pagine. Quel pomeriggio eravamo disperati, temendo che sarebbe andato tutto storto: tre valigie di abiti scelti per lo shooting non erano arrivate all’aeroporto di Catania e alle sei della sera, quando stavamo per iniziare a fotografare, è venuta giù una pioggia torrenziale. 

L’unico giorno piovoso dell’estate siciliana si è abbattuto su di noi. Ma, come accade per le improvvise amicizie d’agosto, l’empatia nata tra la nostra squadra di Grazia e uno degli attori più popolari d’Italia ha creato la magia di queste foto.

Stefano, direttore ospite di questo numero speciale, si è concesso generosamente all’obiettivo del fotografo Leandro Manuel Emede e anche qui, ora, seppure riservato come molti emiliani sanno essere, si rivela come probabilmente non aveva mai fatto prima. 

Stefano Accorsi (5)

Stefano, ricominciamo dall’inizio. Raccontati come se fosse la prima volta che ti presenti al pubblico. 
«Sono nato a Bologna il 2 marzo 1971 da una famiglia semplice. Mio padre, artigiano, aveva una tipografia con suo fratello. Mia madre lavorava nella segreteria di una scuola. Era gente normale, che non aveva nulla a che fare con il mestiere che ho intrapreso. Una famiglia semplice, ma curiosa. Mio padre era un grande appassionato di jazz. E in quegli Anni, i 60 e 70, la vita ti portava al confronto con gli altri, a parlare di vita e di politica». 

Com’eri a scuola? 
«Fino alle medie ho brillato. Poi ho sbagliato liceo. Niente da dire, in realtà: era un ottimo scientifico pubblico. Ma lì è cominciato per me un declino, scolasticamente parlando. La matematica fu una mazzata micidiale. I numeri e l’adolescenza mi hanno spiazzato. Invece di cinque anni, ce ne ho messi sei. Al quinto mi sono ricordato che da piccolo adoravo il cinema. Se mi chiedevano che cosa volessi fare da grande dicevo: “L’attore”». 

Stefano Accorsi (4)

Da bambino che cosa ti aveva colpito nel mestiere dell’attore?
«Per me andare al cinema era un’esperienza di vita. Se mi dicevano “forse”, ma poi non mi portavano, era un dramma. Sono stato fortunato, perché mi sono appassionato alla grande saga di Sergio Leone, dove il mondo non era diviso in modo manicheo con il bene da una parte e il male dall’altra. Erano personaggi con una varia dose di ragione e nello stesso tempo erano grandi fiabe, drammatiche e cruente. Come le favole antiche, i “cunti”, dove i bambini devono avere paura. Non erano state create per rassicurarli che il mondo fosse un posto bello, ma per fare in modo che rispettassero le regole». 

Dicevi che a un certo punto ti sei ricordato della tua passione... 
«Venivo da una famiglia non credente, al liceo ero esonerato da religione. In quinta, in una di quelle ore buche, mentre aspettavo nei bagni che passasse, mi è tornato in mente: “Ma io in realtà volevo fare l’attore”. Sono uscito per andare a prendere informazioni alla scuola di teatro di Alessandra Galante Garrone. L’estate prima di cominciare le lezioni di recitazione, per stare con una fidanzatina, ho fatto il bagnino di salvataggio nei lidi ferraresi. Mia madre, che era in vacanza a Palinuro, lesse sul giornale che il regista Pupi Avati cercava persone per il suo film. Mi feci fare un book dal fotografo locale. Pensavo che venissero foto bellissime come quelle che abbiamo scattato per questo servizio, invece erano orrende. Andai con questo orrido catalogo, convinto di dire ad Avati: “Devo farlo io, il film”. Ma quando arrivai c’erano 500 ragazzi accalcati e di Pupi nemmeno l’ombra. A questo primo incontro aveva mandato i suoi assistenti. Quando mi richiamarono per un secondo provino con Avati in persona, io ero un po’ abbronzato dopo aver fatto tutta la stagione in spiaggia. Gli dico “bagnino” e, in base a com’ero fatto anche fisicamente, lui mi dice: “Allora tu, con le donne...”. E anche se non era vero, perché avevo passato tutta l’estate a guardare il mare con l’ansia del salvataggio, io gli faccio: “Eh, beh sì, certo”. Capendo quello che lui cercava, ho cominciato a recitare. Sono stato richiamato una terza volta e ho fatto un monologo come potevo, imitando Robert De Niro, che era il mio grande mito. Qualche giorno dopo squillò il telefono e una signora mi disse: “Le passo il dottor Pupi Avati”. Aspetto, aspetto, aspetto...». 

Stefano Accorsi (3)

E lui? 
«Avati prende il telefono: “Ciao, Stefano”. Ha quella voce un po’ così, però poi all’occorrenza ti tira la zampata del leone. In questo è molto padre. “Senti, che cosa penserebbero i tuoi genitori se ti portassi due mesi negli Stati Uniti, dove gireremmo il film?”. “Sarebbero felicissimi”, gli rispondo. Lì è cominciata l’avventura, e quando sono tornato ho cominciato la scuola di teatro». 

Continua leggere l’intervista a Stefano Accorsi sul numero di Grazia ora in edicola

Testo di SILVIA GRILLI da DONNALUCATA (RAGUSA) - foto di LEANDRO MANUEL EMEDE - styling di NICK CERIONI

© Riproduzione riservata

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