«Sta’ zitta e buona»: l'editoriale di Silvia Grilli

Ho visto in tv, a Belve, l’intervista interrotta in cui Teo Mammucari si è alzato e se n’è andato, perché preferiva Francesca Fagnani dietro le quinte, non come conduttrice. È stato facile riconoscere la frustrazione degli uomini che non accettano il potere che le donne si prendono.
Sapete già tutto perché se n’è parlato molto, ma sono stati minuti di rappresentazione dell’idea maschile del «sii bella e muta», con la clausola che le femmine debbano rispettare i patti: stare al loro posto, essere comprensive, materne, adoranti, non fare domande.
«Perché sei venuta nei camerini a fare tutta la carina e qui trovo un’altra immagine? Tu non sei la stessa persona, Francesca, come donna e come conduttrice», diceva Mammucari.
L’intervistato mancato è entrato in trasmissione come ospite, spiegando lui come avrebbe dovuto funzionare tutto. Voleva modificare le luci, cambiare il pronome personale “lei” usato dalla conduttrice, trasformare le domande in estatica ammirazione, stravolgere la propria biografia e farla diventare epica. Noi lo chiamiamo “mansplaining”, costume molto diffuso tra i maschi che pretendono d’istruire le donne su qualcosa che sappiamo già perfettamente, parlano sopra ogni nostra parola perché loro la sanno più lunga e presumono che dovremmo stare in adorazione ad ascoltarli.
Così, mentre il mancato intervistato se ne andava dopo aver dato della «maestrina» a Fagnani, io pensavo a tutte le volte che ti dicono di calmarti o di farti curare. Anche a tutte le volte che rifiutano di chiamarti «sindaca», «architetta», «avvocata» e infatti la chiamava «France’».
Quando poi Mammucari ha ritirato fuori dagli archivi un brutto pezzo del passato televisivo italiano dicendo: «Ma che facciamo? Due ore così? Non sono Flavia Vento, è tremenda questa cosa», ho rischiato di collassare.
Per le più giovani e i più giovani che forse non lo sanno, nel 2000 Mammucari conduceva una trasmissione che si chiamava Libero, dove la showgirl Vento se ne stava rinchiusa in una gabbia trasparente sotto il tavolino.
Una faccenda che non sarà grave come lo stupro architettato da Bernardo Bertolucci e Marlon Brando su Maria Schneider nel film Ultimo Tango a Parigi, quando non le chiesero il consenso a una scena in cui la sodomizzarono con il burro, ma è comunque la negazione del rispetto che si deve a una donna in quanto persona. Ora, 24 anni dopo, Vento ha replicato in modo folgorante: «Io non sono mica Teo Mammucari».
I tempi cambiano, non abbastanza velocemente, ma inesorabilmente. In un’intervista con La Stampa, Fagnani ha detto: «Purtroppo a volte succede che non si riesca ad avere un confronto paritario. In certi casi è evidente che alcuni uomini siano infastiditi dal dover interagire sullo stesso piano con le donne». Il successo è difficile da riconoscere a una femmina.
Esprimere le proprie idee è il gesto più sovversivo che possiamo compiere. Ditemi quante volte vi hanno tacitate con «calmati», «fatti una risata», «fa’ parlare me», «rossettino e sorridi». In Afghanistan neanche il rossettino: vietano loro di fare sentire la propria voce. Anche da noi per anni gli uomini si sono portati appresso le belle mute e ancora accade.
Fagnani dice che l’ha sorpresa «l’ondata incredibile di affetto e solidarietà da parte di ragazze e ragazzi di fronte a un comportamento inaccettabile. Si vede che certi modi di fare iniziano a non essere più condivisibili, specie per i più giovani». Ci contiamo.
Questo non è un editoriale né su Mammucari, né su Belve, né su Fagnani. È un editoriale sulla certezza che non dovremo aspettare altri decenni. Gli uomini che verrano non diranno più: «Sta’ zitta e buona».
Per l’enciclopedia Treccani la parola del 2024 è stata “rispetto”. Mi auguro che lo sia anche negli anni a venire.
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