
Al cinema con Tiro libero Simone Riccioni racconta la forza di una squadra di basket di disabili. Perché l’attore, cresciuto in Africa, ha sempre fatto il tifo per i dimenticati
Ci sono ragazzi che a 29 anni stanno ancora cercando la loro strada. Simone Riccioni (qui fotografato da Francesco Ormando) ha già scritto tre libri e girato otto film. Nato in Uganda, in un villaggio dove i genitori, medico e insegnante, facevano i volontari, Riccioni è cresciuto in Africa fino ai 7 anni, esperienza che ha raccontato nel cortometraggio Eccomi.
Il suo ultimo film, Tiro libero, è invece ispirato all’omonimo romanzo di Sperling & Kupfer. Nel cast, oltre a Nancy Brilli, c’è una squadra di giocatori di basket in carrozzina di cui Riccioni è allenatore.
Dall’Africa al cinema: come ci è arrivato?
«A 15 anni facevo il pagliaccio per far ridere i ragazzini disabili. Mi hanno fatto innamorare della vita».
Com’è stata l’esperienza su questo set un po’ speciale?
«“Le carrozzine sono le nostre gambe”, mi hanno detto i giocatori. “Vogliamo che la gente capisca che siamo felici di vivere”. Credo non ci sia risposta migliore».
Com’è stato accolto il film?
«Sembra quasi che il nostro Paese non sia pronto a toccare temi forti. I ragazzi che si ammazzano e sparano nelle serie tv vanno bene, ma quelli su una carrozzina che si divertono, no. Certi critici ci hanno persino definito troppo “buonisti”».
Che cosa le ha lasciato, invece, l’Africa?
«Ho vissuto la guerra civile tra le etnie Hutu e Tutsi, ho visto morire i miei coetanei. Ho imparato che, nella vita, contano le cose semplici, che non sono mai banali. Ed è ciò che voglio trasmettere con il mio lavoro».
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