«Quanto ti dicono: "se non puoi violentare tua moglie, chi puoi violentare?"»: l'editoriale di Silvia Grilli
In una scena di C'è ancora domani, la protagonista Delia, costretta dal marito brutale a un rapporto sessuale, toglie un granellino di polvere dal comodino, completamente estranea a quanto le sta accadendo. La dissociazione è un'autodifesa comune tra le vittime di stupro.
Una ragazza che intervistai mi raccontò che, durante la violenza, cercava di ricordare le parole delle sue canzoni preferite. Era come congelata nel panico: non urlò, non si mosse, terrorizzata di subire ulteriori aggressioni.
Jessica Mann, una delle testimoni al processo contro il produttore stupratore Harvey Weinstein, ha ricordato di essere rimasta immobile, mentre lui la violentava. Mann ha citato in tribunale uno studio scientifico sulle difese messe in atto da esseri umani e animali. Questi ultimi si fingono morti di fronte a un attacco, perché così i predatori sembrano perdere interesse. Ma, per ironia della sorte, è proprio l’immobilità della vittima a mettere in dubbio la credibilità delle donne nei dibattimenti per stupro. «Non si è mossa, quindi vuol dire che ci stava».
Giorgia Meloni ed Elly Schlein hanno voluto una legge per cambiare la vecchia norma, secondo la quale è reato solo se si viene costrette ad atti sessuali con modi violenti o minacce. Le due leader condividono l’idea che il consenso debba essere dichiarato all’inizio e durante il rapporto.
L’atto sessuale deve avvenire per libera scelta, non per ricatto, abuso di potere o quando la volontà è ridotta per effetto di alcol o sostanze. E non è consenso solo perché si era detto «sì» in passato o perché si è sposati. Il silenzio o l’inerzia non sono acquiescenza, ma una conseguenza della violenza stessa. E ci si può tirare indietro, anche dopo aver, inizialmente, condiviso l’approccio.
La legge, nata dal patto Meloni-Schlein, è stata approvata all’unanimità dalla Camera dei deputati. Ma al Senato, nella Giornata contro la violenza degli uomini sulle donne, è stata bloccata e rinviata. Il ministro Matteo Salvini sostiene che «Il consenso preliminare lascia spazio a vendette personali che intaserebbero i tribunali».
Cioè, la magistratura si ritroverebbe con orde di donne che mentono. Sinceramente, non ho mai visto in Italia tutta questa folla di femmine pronte ad accusare per incastrare qualcuno. Sinceramente, mi pare il contrario: le vittime non denunciano perché conoscono bene gli interrogatori e il calvario che dovrebbero sopportare se lo facessero. Sinceramente, mi sembra una bocciatura per paura di perdere i privilegi maschili.
In una scena del film After the Hunt - Dopo la caccia, Julia Roberts dice a una studentessa che accusa un professore di stupro: «Non denunciare, altrimenti diventerai radioattiva. Il nostro sistema è dominato dai maschi. Ne avrai bisogno quando chiederai lavoro, e non lo otterrai perché saranno terrorizzati che un giorno tu possa accusare anche loro».
La notte del weekend scorso, a Milano, una ragazza ha denunciato per violenza un giovane con il quale si era allontanata. «Mi ha violentata», ha detto. «Era consenziente», ha ribattuto lui. Un consenso che fino a un certo punto c’è stato. Poi non più.
Lo stupro non è stupro solo se ti costringono con la pistola puntata alla tempia. Lo è anche quando io non voglio o non voglio più. Vale anche nel caso di rapporti sessuali tra conviventi: solo «sì» è «sì».
Anni fa, un senatore californiano si oppose a una legge contro lo stupro nel matrimonio, dicendo: «Se non puoi violentare tua moglie, chi puoi violentare?». Ecco, è proprio questo il concetto: né il corpo di tua moglie né quello della ragazza che si allontana con te, poi cambia idea, ti appartengono. Il loro corpo è loro, non tuo.
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