«Senza amore, né legge»: l'editoriale di Silvia Grilli

Sembrano due casi completamente diversi. C’è una ragazza che, a Nizza Monferrato, ha accoltellato a morte il padre-padrone per difendere la madre dalla furia di quell’uomo. E c’è un 19enne che, in provincia di Milano, è stato aiutato dai genitori a nascondere le prove, dopo aver ucciso per un paio di cuffie wireless da 14 euro.
Sembrano due storie talmente distanti, eppure c’è qualcosa che le unisce. Sono ambientate in un mondo dove non c’è legge e le si dà accesso solo quando tutto è perduto.
Non è mai entrata la giustizia a casa di Makka Sulaev, 19 anni, che ha ucciso suo padre perché pensava di non avere altra scelta, dopo tutto il male che lei e la sua famiglia avevano subìto.
Un padre che trascinava la madre e la massacrava davanti ai suoi fratelli maschi, per insegnare loro come si tratta una donna: con pugni forti sulla bocca dello stomaco per impedirle di respirare. Un uomo che mai nessuno aveva denunciato, in quella famiglia cecena dove non c’erano né amore, né tenerezza, né affetto. Solo violenza.
L’unica educazione era disprezzare le donne in quell’inferno dominato da un maschio tossico. Solo quando lui è morto, i carabinieri sono entrati in quella casa.
Raccontano le cronache che neppure i genitori di Daniele Rezza, oggi in carcere per aver ucciso a coltellate un 31enne per impossessarsi di un paio di cuffie, credessero molto nella legge.
Ci avrebbero creduto così poco da pensare di potersene disfare. Secondo i resoconti giornalistici, il padre si sarebbe liberato di quelle cuffie e avrebbe aiutato il figlio a scappare in treno, mentre i pantaloni sporchi di sangue dell’assassino venivano gettati in lavatrice.
Il dibattito sui social media è se Makka abbia fatto bene o male a uccidere il genitore. Se conosceva solo quel modo per sopravvivere, per lei quella era legittima difesa e, dal suo punto di vista, non aveva alternativa.
Ma nel mondo in cui desideriamo vivere, non vogliamo farci giustizia da soli, bensì assicurare i violenti alla giustizia, se solo ci fidassimo della legge, pensassimo che sia in grado di proteggerci e di essa ci sentissimo parte.
Ci sono madri che denunciano i figli criminali, perché pensano che sia giusto per tutti, prima di tutto per i loro ragazzi. È una giustizia di cui ti fidi così tanto da credere che ci sarà un domani per te senza bisogno di assassinare tuo padre o cancellare i crimini di tuo figlio. È la giustizia a cui aveva bisogno di credere Makka. Ma anche i genitori di Daniele Rezza.
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