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«Se mi arrabbio per le musulmane segregate mi accusate di razzismo?»: l’editoriale di Silvia Grilli

«Se mi arrabbio per le musulmane segregate mi accusate di razzismo?»: l'editoriale di Silvia Grilli

foto di Silvia Grilli Silvia Grilli — 18 Aprile 2024
Silvia Grilli
Il nuovo numero di Grazia è ora in edicola e su app. Ecco l'editoriale della Direttrice Silvia Grilli

Perché dovrei tacere vedendo a Roma, alla festa di fine Ramadan, le donne musulmane rinchiuse in un’area recintata per essere separate dagli uomini? Dovrei soffocare la rabbia che provo per evitare di essere tacciata di “razzismo”, l’accusa che viene sollevata ogni volta che si criticano altre cosiddette “culture”?

Abbiamo lottato tanto contro la nostra “cultura” patriarcale in Italia e continuiamo ogni giorno a batterci contro gli abusi sulle donne e le disparità che si perpetrano nel nostro Paese, perché mai dovrei astenermi quando si tratta di stranieri? Eppure, so che ogni parola di questo mio editoriale verrà soppesata per misurare il livello di razzismo o islamofobia, due parole che ormai vengono sovrapposte.

Anche nella “cultura” di mio nonno era tradizione sottomettere mia nonna con le botte. Quando lo rivedo nel film di Paola Cortellesi sto male come quando osservo le islamiche ingabbiate a Roma. Mia madre aveva conquistato una professione e mi ha insegnato l’autonomia. Io, che lo racconto ogni giorno a mia figlia, che cosa dovrei dirle mentre l’accompagno a scuola e incrociamo mamme ingabbiate nei chador che portano i loro bambini? Mentre provo un senso di doloroso annientamento dovrei forse spiegarle che è la loro cultura e va rispettata?

In classe e anche su TikTok narrano a mia figlia che la scelta di coprirsi così è autodeterminazione. Ne sarei felice se lo fosse: una ragazza liberamente in minigonna, l’altra liberamente in hijab, l’altra liberamente in jeans. Purtroppo, il velo non è solo un capo di vestiario, è il simbolo di una condizione femminile decisa dagli uomini, il marchio della sottomissione. Coperta in pubblico, scoperta in casa a disposizione del proprietario: il marito, il padre.

Quante sono in Italia le donne straniere rinchiuse tra le mura domestiche senza aver imparato la nostra lingua, schiavizzate, fatte sposare con matrimoni combinati? Scopriamo che esistono quando i mariti le uccidono o quando sono loro che accoltellano i padri padroni.

Lo vedo dal mio punto di vista occidentale? Certo. È una colpa essere libera? Come siamo arrivati ad accettare senza fiatare che nelle nostre città si vedano scene di segregazione?

Mi direte che l’oppressione degli uomini sulle donne è anche tra gli italiani, non solo tra gli integralisti. Certo, forse non ci occupiamo ogni giorno delle mille prevaricazioni che in questo Paese vengono perpetrate su di noi: dalla non parità dentro le case alla nostra cancellazione definitiva con i femminicidi?

Mi sento obiettare che anche le suore portano il velo. La Chiesa cattolica è una delle istituzioni più maschiliste che ci sia, ma le suore hanno scelto di appartenere a un ordine religioso e si negano allo sguardo degli altri per dedicarsi a Dio. La libera decisione delle donne musulmane quale sarebbe? Liberamente scegliere di sottomettersi ai maschi?

Foto Piero Gemelli

© Riproduzione riservata

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