Se le italiane non hanno libertà di scelta
«Se una donna vuole abortire una via la trova sempre», dice Marina Toschi, ginecologa di Ascoli. Ma che fatica. Da lei arrivano donne dal Centro e dal Sud Italia. Sono molte quelle costrette a cambiare regione e a viaggiare per poter esercitare un diritto: abortire.
A parere di tante attiviste, succede in Umbria e nelle Marche, in Sicilia, Veneto e Lazio: interrompere una gravidanza è più difficile. E c’è un nuovo “giallo”. Nei giorni scorsi Elisabetta Piccolotti ed Eleonora Evi, di Alleanza Verdi-Sinistra italiana, hanno riportato storie di giovani costrette, in Umbria, ad ascoltare il battito del feto prima di ricevere l’interruzione di gravidanza. L’assessore alla Sanità della regione, Luca Coletto, smentisce che si sia verificato. Le principali associazioni che si occupano di diritti e tutela delle donne, Luca Coscioni, Vita di donna e Pro-choice, sentite da Grazia, non hanno ricevuto segnalazioni di questa natura.
Che cosa dice la legge. La legge 194 del 1978 prevede che la donna possa richiedere l’interruzione volontaria di gravidanza entro i primi 90 giorni per motivi di salute, economici, sociali o familiari. I consultori devono esaminare possibili soluzioni ai problemi, aiutare a rimuoverli, invitare a soprassedere per sette giorni in assenza di urgenza. Si può abortire con metodo farmacologico (pillola RU486) o chirurgico. Dopo i primi 90 giorni, lo si può fare solo se ci sono gravi motivi di salute della madre o serie malformazioni del feto.
Come viene applicata In alcune zone d’Italia la legge viene applicata ma nei fatti il diritto della donna incontra ostacoli. È difficile abortire e si deve attendere più tempo del necessario. E questo perché i medici obiettori di coscienza, che cioè non vogliono eseguire la Ivg per ragioni etiche o personali, sono oltre sei su dieci, denuncia da anni l’associazione Luca Coscioni. La segretaria nazionale, Filomena Gallo, aggiunge: «A 44 anni dalla sua entrata in vigore, è ancora impossibile avere un quadro chiaro sullo stato della legge 194. Non abbiamo dati aperti e aggiornati: il ministero della Salute mette a disposizione solo dati aggregati e vecchi. La 194 è ancora mal applicata o ignorata in molte aree».
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Testo di Letizia Magnani
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