Sabrina Ferilli: «Preferisco vivere a modo mio»
Tredici milioni di italiani hanno ascoltato e applaudito il suo monologo sulla libertà all’ultimo festival di Sanremo. Perché, va detto, Sabrina Ferilli, che da fine aprile sarà nella nuova commedia di Leonardo Pieraccioni Il sesso degli angeli, è diventata nel tempo il simbolo di ogni donna libera che sta bene con se stessa.
Dove nasce il coraggio di essere libera?
«Il coraggio sta nell’accettazione di sé stessi. Non devi essere un’attrice o una donna di successo per essere orgogliosa e appagata di te stessa. La cultura dell’indipendenza e della consapevolezza di sé stessi ti viene trasmessa dalla famiglia. Una volta anche la scuola aiutava molto. I miei non hanno mai messo in discussione quello che diceva un professore».
Come andava a scuola?
«Nella media, ma ho sempre studiato e mi sono diplomata al liceo classico Orazio di Roma. Mi sono presa la mia libertà, ma nei tempi giusti. Come quando decisi di provare a fare questo mestiere e andai al Centro sperimentale. Mia sorella, mio fratello e io siamo figli di un insegnamento che ci ha messo al centro della nostra stessa vita. I nostri genitori ci hanno dato la possibilità di studiare e di riscattarci ognuno rispetto alle proprie aspirazioni. Io allora stavo con un ragazzo della mia età che non era d’accordo con le mie scelte. Le trovava inadeguate».
E allora?
«L’ho lasciato. Avevo 19 anni e stavamo insieme da tre, quattro anni. Così ha fatto mia sorella e lo stesso mio fratello. Nessuno di noi ha mai pensato che, pur amando una persona, ci si potesse modificare o annientare rispetto al partner. La rinuncia ai propri sogni per amore di qualcuno è pericolosissima».
Come si raggiunge tale consapevolezza così giovane?
«Sono cresciuta leggendo quattro o cinque quotidiani, in famiglia si commentava tutto ciò che succedeva nel mondo. Mio padre, Giuliano, era un dirigente del Partito comunista. I soldi erano pochi, ma sapevamo che la conoscenza era importante. Erano i problemi della società, del Paese e quindi sicuramente anche nostri. Una famiglia che non fa questo già fa danni».
I suoi come l’hanno presa quando ha detto di voler fare l’attrice?
«Non sono mai stati né favorevoli né contrari. Mi hanno detto: “È giusto che ci provi”. Mio padre aveva uno stipendio bassissimo, ma è riuscito a farci studiare. Per lui era quella la via del riscatto sociale ed economico. A 19 anni ero già fuori di casa. Vivevo in un piccolo appartamento che dividevo con due amiche. Per mantenermi lavoravo come centralinista, poi ho fatto l’archivista in una ditta di pulizie. Anche mia sorella dava ripetizioni di matematica, mio fratello si adoperava come facchino. La mia prima busta paga da centralinista è stata di 400 mila lire, una cifra straordinaria per me. Il pomeriggio andavo a studiare al Centro sperimentale. Avevo vent’anni quando ho avuto i primi ruoli nel cinema e sono andata a vivere da sola, in un appartamentino per 500 mila lire al mese nel centro storico, dove mi sentivo più protetta. Mia sorella, mio fratello e io sin da subito siamo stati liberi, accontentandoci e dividendoci quel che guadagnavamo. Questo è stato il passaggio più importante della mia vita. I miei genitori potevano sembrare troppo rigidi, invece sono stati straordinari. Vivevamo da soli, se si rompeva il tubo del rubinetto chiamavamo noi l’idraulico, pagavamo, ci indebitavamo. Tutto questo ci ha aiutato a crescere».
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Foto di Federico De Angelis
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