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Ryan Reynolds: «Che noia il lieto fine»

Ryan Reynolds: «Che noia il lieto fine»

foto di Claudia Catalli Claudia Catalli — 13 Settembre 2015

Ryan Reynolds è uno dei più sexy di Hollywood. Ha una ex che si chiama Scarlett Johansson e ha sposato l’icona glam Blake Lively, che lo ha reso padre. Eppure l’attore dice a Grazia di non amare le favole. E ora che èla star di un film di fantascienza ammette: «Mi diverto di più quando tutti vogliono farmi fuori»

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Prima ha fatto perdere la testa alla cantante Alanis Morissette. Poi ha sposato l’attrice più desiderata del pianeta, cioè Scarlett Johansson. Alla fine ha scelto l’ancor più sexy (e giovane) Blake Lively, dieci anni meno di lui, per metter su famiglia: un anno e mezzo fa è nata James, ma pare arriveranno altri fratellini. «Blake ed io veniamo entrambi da famiglie piuttosto numerose e desideriamo tutti e due molti bambini. Non chiedetemi quanti, però: non sono un indovino», ha dichiarato papà Ryan.

Ma che cosa avrà di tanto speciale Reynolds? È uno di quei casi in cui le capriole cerebrali servono a poco, basta guardarlo per capire. Da anni in vetta alle classifiche sui maschi più sexy del mondo, l’attore canadese a 38 anni sfoggia un fisico ineccepibile anche nel suo ultimo film Self/less, nelle sale. Guarda caso, interpreta un “corpo in prestito”, un soldato la cui memoria è stata cancellata per ospitare quella di un anziano uomo d’affari (Ben Kingsley) che ha pagato profumatamente pur di continuare a vivere in un corpo altrui. Detta così è complicata, ma attraverso la metafora del trapianto di coscienza il film fantascientifico del regista Tarsem Singh mostra fino a che punto gli esseri umani siano pronti a spingersi pur di sopravvivere. C’è da dire che Reynolds non si risparmia: corre, fugge, si sfila una T-shirt dietro l’altra, sventa esplosioni, si ferisce, seduce. Eppure nel film, a un certo punto, l’indole da sciupafemmine seriale lascia presto spazio alla dedizione assoluta verso una sola donna. Come gli è capitato nella vita vera.

Il 9 settembre Ryan ha celebrato i tre anni di matrimonio con Blake Lively, ma nel nostro incontro ha parlato tantissimo di James, la figlia per la quale ha scelto un nome inconsueto (James è un nome da maschio) e che lo ha conquistato per sempre. Altro che tombeur de femmes: fuori dal set Reynolds mette da parte i panni del sex symbol e si concentra sulla famiglia come ha imparato dai genitori (una commessa e un commerciante) e sul lavoro, come quando, prima di tentare con la recitazione, sgobbava al mercato tra i banchi di frutta e verdura. In più è diventato un paladino ecologista e un sostenitore della ricerca contro il cancro. Poco tempo fa, ha commosso tutti accogliendo sul set di Deadpool, il nuovo film di supereroi Marvel che lo vedrà protagonista nel 2016, il piccolo Tony Acevedo, bambino affetto dal linfoma di Hodgkin, che tanto voleva incontrarlo. Ecco perché, quando gli chiedo in che categoria di celeb rientri, lui mi risponde: «Nessuna. Sono solo un papà preoccupato, ma proprio tanto preoccupato».

Che cosa la spaventa tanto?
«Che mia figlia cresca in un mondo come il nostro, in cui farà fatica a respirare aria pulita, dovrà vivere con un clima più caldo di adesso di almeno otto gradi, con milioni di persone in più chiuse in altrettante autovetture. Questi pensieri mi terrorizzano: sogno per James un mondo simile a quello in cui ho vissuto io. Mi piacerebbe immaginarla in mezzo alla natura, tra fiumi, laghi, montagne, alberi, proprio come è successo a me durante l’infanzia in Canada, nella Columbia Britannica. Per me quel periodo ha significato tanto e la libertà che ho provato nella natura incontaminata è una delle sensazioni che vorrei James avesse in eredità».

Crescere a Hollywood con due genitori famosi dev’essere comunque un’alternativa di vita piacevole.
«La gente ha questa strana idea di Hollywood, come se tutti avessimo chissà quale patrimonio, potere o influenza sulle cose. Non è così e lo dimostrano gli attori con la A maiuscola, come Ben Kingsley. Ho accettato la parte in Self/less quasi solo per avere modo di passare un po’ di tempo con lui: credetemi, non è una persona, è un reattore nucleare».

In che senso, scusi?
«Appartiene a quella categoria di uomini intensi che bruciano, brillano e, nel frattempo, sanno essere anche perfetti gentlemen, educatissimi, pronti a metterti a tuo agio in ogni situazione. Le grandi star sono così, questo è il loro potere. Ce le immaginiamo con un red carpet sotto i piedi ovunque vadano, in realtà sono persone affabilissime».

Ha lavorato con tante dive, da Julia Roberts a Sandra Bullock: tra le star di cui parla c’è per caso una donna che le è rimasta impressa?
«Mi viene in mente un nome su tutte: Helen Mirren, seria e dolce. L’ho conosciuta sul set di Woman in Gold (in Italia arriverà in ottobre, ndr). Certo, non posso dire di non esserne rimasto intimidito: lei è “Madame Mirren”, così come Ben è “Sir Kingsley”».

E lei?
«Io sono solo Ryan. E, tra l’altro, sono pure canadese. Sui set resto il ragazzo a cui al massimo danno una pacca sulla spalla quando dice la sua battuta nel modo giusto».

“Ragazzo” a 38 anni. Come la mette con il tempo che passa?
«Sono felice di crescere. Se sapessimo di non morire mai, non vivremmo intensamente la vita. Il fatto di non sapere quanto tempo avrai ti spinge a essere un uomo più coraggioso, appassionato, interessante. Se sapessi di essere immortale, penso che a un certo punto mi imbottirei di sonniferi per far trascorrere almeno un po’ di tempo e ammazzare la noia».

Per questo fa l’attore, per vivere sempre esistenze diverse?
«No, anche per avere il ruolo della vittima sacrificale: adoro quando mi fanno morire in un film. È più forte di me».

Dice davvero?
«Ma sì, non sono mai stato un gran fan del lieto fine, amo i registi che uccidono i loro eroi. O che li mettono in situazioni al limite, come quando Rodrigo Cortés mi ha seppellito vivo nel film Buried - Sepolto».

Le piacciono le provocazioni?
«No, ma sono liberatorie. Ed è decisamente più interessante della solita favola in cui principe e principessa si allontanano verso il tramonto tenendosi mano nella mano. Comunque la cosa più liberatoria al mondo resta vedere i propri sogni che si avverano».

A lei è capitato: era un fruttivendolo, oggi è un attore di fama internazionale.
«Sono fortunato e ora sarò messo alla prova nel film che aspettavo da tempo: sarò un supereroe in Deadpool (uscirà in febbraio, ndr). Ma un eroe a modo mio: non abbiamo un budget stellare e questo è un bene perché ci permette di essere più creativi».

Il suo personaggio Wade Wilson/Deadpool sarà un supereroe politicamente scorretto, di quelli vietati ai minori di 17 anni?
«Vedremo. Sono 11 anni che aspettavo di interpretarlo. E credetemi, vi stupirà. Anche solo per il costume che indossa: è costruito alla perfezione, la prima volta che l’ho visto sono scoppiato in lacrime. Interpretarlo è per me molto più importante del titolo di celeb».

Quando l’ha capito?
«L’ho imparato col tempo. Se mi avesse incontrato a 20 anni, me ne avrebbe dati 40: ero un tipo molto calmo, equilibrato, noioso. Avevo così fretta di “diventare grande” che mi perdevo tutto il bello della vita. Comprese quelle nottate selvagge dopo le quali ti svegli senza ricordare nulla».

Quel tempo “perso” lo ha recuperato?
«Sì. A 29 anni mi sono fermato, ho staccato da tutto per un po’ e ho imparato a vivere il presente, a lasciarmi andare. Mi è servito per diventare l’uomo e il padre che sono oggi».

Se potesse tornare indietro, cambierebbe qualcosa?
«Non credo, no. La mia vita mi sta bene così, passato compreso. E poi non riesco neanche a immaginare la fatica che farei se dovessi ricominciare tutto da capo».

© Riproduzione riservata

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