Rieducare i mostri
Lasciarlo in prigione e buttare via la chiave. È la pena che chiede per l’assassino di suo figlio Savino Carella, il padre di Daniele, 21 anni, la più giovane delle vittime di Adam Kabobo, il ghanese che a Milano ha ucciso tre persone con un piccone.
Lasciarlo in prigione e buttare via la chiave. È la pena che chiede per l’assassino di suo figlio Savino Carella, il padre di Daniele, 21 anni, la più giovane delle vittime di Adam Kabobo, il ghanese che a Milano ha ucciso tre persone con un piccone.
Mi sono sempre domandata se una vita presa per un’altra vita possa essere un risarcimento del dolore subito, e immagino di no. Niente può placare la sofferenza per la perdita di un figlio in quel modo o per il suo rapimento. Neppure la pena di morte che un procuratore americano chiede per Ariel Castro, l’uomo che ha sequestrato e torturato per dieci anni tre ragazze di Cleveland.
Sono contraria alla pena capitale. Non è mai stato dimostrato il suo valore deterrente, ma soprattutto uno Stato che uccide dà una risposta violenta alla violenza.
In Italia, quando succedono casi efferati, s’invoca la «certezza della pena». L’opinione pubblica sgomenta chiede che la condanna sia applicata senza sconti. Il carcere non è più luogo di rieducazione, ma un buco nero in cui seppellire il mostro.
Eppure forse è proprio la speranza di poter recuperare anche i mostri che può alleviare il dolore collettivo.
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