«Resta a casa e fa' figli»: l'editoriale di Silvia Grilli

Non passa giorno in cui non ci venga ricordato che in Italia nascono pochi bambini e che, se continua così, noi italiani siamo destinati a scomparire. Siamo terzultimi in Europa, con solo 379 mila neonati nel 2023.
Ce lo rammenta il Governo, che ha istituito un ministero della Natalità per sopperire alla glaciazione demografica. Ce lo dice il Papa, ammonendoci sulla perdita della speranza nel futuro del nostro Paese, e paragonando i contraccettivi alle armi che distruggono la vita. Ce lo ripetono i movimenti per la vita, che sono stati ammessi nei consultori per spiegare alle donne che c’è un’alternativa all’interruzione volontaria di gravidanza.
Ce lo riassume l’Istat, che ci allarma sulla diminuzione senza sosta delle nascite da 15
anni, prevedendo nel 2050 un’Italia popolata soprattutto da chi ha più di 65 anni. Ce lo argomenta il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che invoca un Paese più giovane, per rendere «sostenibile» il debito ed evitare una «tragedia annunciata».
E quindi? Di chi sarà mai la colpa della «tragedia»? Di noi donne che usiamo i contraccettivi, noi che abortiamo, noi costrette a scegliere tra lavoro e famiglia, noi che ci scapicolliamo tra i colloqui con i genitori, l’ufficio, la spesa, i genitori anziani?
Noi che ci dimettiamo volontariamente, perché non ne possiamo più di scapicollarci; noi che non divorziamo da un marito che non sopportiamo più perché come manteniamo poi i figli, visti gli esempi di padri con braccino corto sugli alimenti? Siamo noi le responsabili della «tragedia»? Noi che avremmo tanto voluto un figlio, ma ci abbiamo rinunciato perché siamo state precarie fino ai 40 anni, e quando la stabilità economica è arrivata, la natura ci ha fatto sapere che ormai era troppo tardi? O ancora noi che i figli non li vogliamo, stiamo bene così e questa corsa a un neonato con ogni mezzo ci sembra una malattia dell’ego?
Colpa nostra oppure di una cultura persistente che chiede alle donne di sobbarcarsi tutto il lavoro di cura? Torniamo sempre allo stesso discorso: non ci sono politiche di condivisione delle responsabilità familiari per cambiare i maschi italiani, non ci sono permessi di paternità seri, reti di servizi per l’assistenza ad anziani e disabili, c’è posto al nido solo per un bimbo su quattro tra zero e due anni. Siamo il Paese dove le donne non riescono a trovare lavoro, e se lo trovano sono più precarie degli uomini. La sinistra ritiene responsabile il governo di destra, quello di destra lo rinfaccia ai precedenti esecutivi.
Giorgia Meloni ci ha provato con qualche sgravio fiscale, ma solo per la famiglia tradizionale. Alla fine, quando c’è da risparmiare, tutti risparmiano sulle donne, tanto quelle si scapicollano per tenere insieme tutto. Finché non risolveremo la questione della parità di genere non ne usciremo. I Paesi dove si mettono al mondo più figli sono anche quelli dove si è investito nella condivisione del lavoro a casa e fuori tra maschi e femmine, è dove perciò le donne hanno tassi di occupazione più alti.
Per esempio, nella solita Svezia, madre e padre (ma anche le coppie omogenitoriali e single) hanno diritto a 480 giorni di assenza dal lavoro, che vengono distribuiti a scelta dei genitori, e possono essere trasferiti dalla mamma al papà e viceversa.
Ma basta guardare all’Alto Adige, dove il calo delle nascite non esiste, e si capisce perché. Da una parte una forte identità culturale, dall’altra facilitazioni per salute, trasporti, doposcuola, campi estivi, sconti agli asili, sui prodotti per bambini, educatori che trasformano i loro appartamenti in piccoli nidi, liberando le mamme.
Alla fine di tutto questo parlare, ripetiamo che il nodo è la condivisione. A meno che non si voglia fare come il Partito Comunista Cinese. Per ottenere il rialzo delle nascite, il presidente Xi Jinping ha diminuito il ruolo delle donne negli uffici pubblici, invocando figure femminili più tradizionali. Il corpo femminile è da sempre merce di scambio per chi detiene il potere.
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