«Quelle che non valgono nulla»: l'editoriale di Silvia Grilli
Due ragazze coetanee. Una è una campionessa uzbeka della scherma, aveva 17 anni un anno fa, quando ha denunciato tre giovani atleti italiani per violenza sessuale.
È accaduto durante un ritiro estivo a cui partecipavano diverse federazioni a Chianciano Terme, in Toscana. La sua denuncia sembra caduta nel vuoto. Durante alcune gare ha dovuto incontrarli di nuovo, come se nessuno si fosse preoccupato di tutelarla. È stata lei a dover cambiare hotel.
Anche l’altra ragazza ha 18 anni. Qualche giorno fa, a Nizza Monferrato, in Piemonte, ha ucciso il padre padrone, fervente musulmano. Ha detto ai carabinieri che non voleva che morisse. Aveva solo bisogno di difendere se stessa e la madre dalla violenza dell’uomo. Da anni le picchiava perché non sopportava la loro indipendenza. Non accettava che la moglie lavorasse o che la figlia, cresciuta con una nuova consapevolezza, aspirasse a un’altra vita.
Due fatti diversi, due giovani donne con esistenze completamente differenti. Eppure accomunate dal senso d’impotenza. Come ti puoi sentire se, dopo aver denunciato un anno fa un reato da Codice Rosso, non vieni protetta? Quell’atleta, che era stata probabilmente drogata, ha raccontato uno stupro di gruppo, si è presentata al Pronto Soccorso con ecchimosi sul corpo, eppure nessun provvedimento è stato preso contro gli indagati, nessuna sanzione, nessuna sospensione dalle gare, niente di niente. Congelata nel panico dopo averli rivisti, è stata lei a cambiare albergo, non loro.
Non pensate che questa sia tolleranza per chi usa violenza contro le donne? Non stupiamoci se poi si ha paura di denunciare, se non ci fidiamo di una giustizia che ricalca la disparità di genere. Le aule dei tribunali sono ancora luoghi dove smontano la credibilità delle vittime, con domande che le colpevolizzano perché hanno violato le regole delle brave ragazze, mogli o madri. Hanno imbrattato le tavole non scritte della modestia: non uscire, non bere, non fumare, non mostrarti, non accompagnarti con uomini.
Poi c’è Makka, la ragazza che per difesa ha colpito il padre con un coltello da cucina alla schiena e alla pancia. Uomini che agli occhi della gente forse appaiono educati, ma tra le mura di casa si trasformano. Picchiano le mogli e le figlie perché si sentono in diritto di farlo: sono maschi, sono i mariti, sono i padroni.
Per anni, Makka deve essersi sentita impotente come sua madre. Non hanno mai denunciato. Chi le biasimerà perché non lo hanno fatto non capisce la violenza domestica, l’impotenza delle vittime senza più dignità, salute, coraggio dopo anni di isolamento e umiliazioni. Makka non voleva, ma non aveva nessuna alternativa tra uccidere o essere uccisa. Non era vendetta, era sopravvivenza.
Da quando nasciamo, introiettiamo il senso d’impotenza e d’incompetenza. Lo viviamo ogni giorno in casa, nei nostri posti di lavoro, tra gli amici. Gli uomini e anche le donne si rivolgono ai maschi per ricevere pareri competenti, non ascoltano le femmine che provano a esprimere le loro opinioni.
Ricacciate nel nostro silenzio, pensiamo di non valere nulla o proviamo una rabbia sorda. La stessa dinamica delle violenze domestiche tacitate, delle denunce di stupro non ascoltate, la stessa dinamica delle nostre vite tutte. Ma qualcosa sta cambiando. Quest’anno l’8 Marzo è più potente. Lo sappiamo e lo dobbiamo alle nostre figlie e anche ai nostri figli.
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