Quella email è un ricatto sessuale

Qualche settimana fa, ho ricevuto un’email scritta in un inglese approssimativo, ma dal significato chiaro: “Abbiamo tue foto compromettenti. Se non ci paghi, le diffonderemo”.
È bastata una ricerca sul web per scoprire di essere diventata una delle tante vittime di “sextortion”, un’estorsione sessuale. Nel mio caso si trattava di un’email truffa, di quelle che spaventano il destinatario minacciandolo di diffondere presunti contenuti compromettenti. Ma accade anche che uomini e donne vengono adescati da belle ragazze, o bei ragazzi, che li convincono a condividere foto o video espliciti. In un secondo tempo li minacciano di divulgare quei materiali alle famiglia e ai colleghi. E nel mirino di questi truffatori finiscono sempre di più le giovanissime. Spesso anche le bambine.
Non avendo risposto a una seconda email ancora più minacciosa, qualche giorno dopo me ne arriva una terza, in cui venivano citati alcuni miei contatti di lavoro ai quali le immagini sarebbero state inviate. A quel punto, mi sono chiesta: se avessi davvero condiviso con qualcuno foto di quel genere, quanto mi sarei spaventata? Tanto da cedere al ricatto?
Lara Giorgi, 40 anni, purtroppo si è trovata proprio in questa situazione. «Durante il primo lockdown ho cominciato a frequentare le applicazioni di dating online, più che altro per distrarmi». Fino a quando ha conosciuto un uomo che l’ha intrigata abbastanza da convincerla a dargli il suo numero di cellulare. «Ci siamo scambiati alcune foto e, dopo qualche settimana, le immagini sono diventate, diciamo, più intime». Poi, all’improvviso, lui sparisce. «Ci sono rimasta male, ma, con il tempo, ho smesso di pensarci. Fino a quando, qualche mese fa, mi è arrivata un’email: volevano soldi per non diffondere alla mia rete di contatti immagini imbarazzanti. Sono andata nel panico». Per fortuna, però, non ha ceduto al ricatto. «Non pagare è l’unico modo per uscirne», dice Massimo Cappanera, un esperto di marketing e comunicazione digitale, per il quale divulgare consigli alle vittime di queste truffe è diventata una sorta di missione. «Anche se chi minaccia è davvero in possesso di quelle foto, non ha nessun interesse a pubblicarle perché a quel punto scatterebbe la denuncia e molto probabilmente verrebbe rintracciato dalle forze dell’ordine. È più facile e più redditizio ricattare altri finché qualcuno ci casca».
Nel 2021, la polizia postale italiana si è occupata di oltre mille episodi di “sextortion”, un fenomeno in crescita soprattutto fra le giovanissime. In questo caso, però, non si tratta di estorcere denaro ma materiale sempre più “spinto”. Annalisa Lillini, prima dirigente della polizia, esperta di pedopornografia e, in genere, di tutti i reati commessi attraverso i social, spiega che «i casi sono aumentati dall’inizio della pandemia, quando molte più ragazzine e bambine hanno cominciato a usare i social media». È così che vengono contattate da adulti che si fingono coetanei «La maggioranza ha fra 10 e 13 anni ma, sempre più di frequente, vengono adescate bambine di 8, 9 anni. Si lasciano convincere a mandare foto e video espliciti e, quando decidono di interrompere, scatta la minaccia: “Se non mi dai altro materiale, pubblico tutto in Rete”».
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