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Quasi quasi mi trasferisco a Puffolandia

Quasi quasi mi trasferisco a Puffolandia

foto di Vera Montanari Vera Montanari — 27 Settembre 2011

Ho visto il film I Puffi e ho capito perché piacciono tanto e da tanti anni: sono buoni, educati, gentili (di questi tempi è una tale rarità, anche tra i cartoon).  E sinceri: ciascuno dichiara nel nome quello che è...

Brontolone, come già il famoso nano, si lamenta di tutto. Golosone passa il tempo ad abbuffarsi. Tontolone non ne azzecca una: è maldestro, inciampa, combina guai. Quattrocchi porta gli occhiali. E Astropuffo vuol fare l’astronauta. Voi capite che, con dei nomi così, tutto diventa più semplice, e non esiste il rischio di equivoci, fraintendimenti, delusioni. Gli psicologi avrebbero finito di lavorare e le donne di struggersi nel tentativo di interpretare, capire, elaborare i comportamenti maschili. A proposito, in Puffolandia esiste una sola femmina, Puffetta, e questo la dice lunga, no? Una sola donna non porta nessun guaio, tante donne invece...

Ma lasciamo perdere, questo è tutto un altro discorso. Fatto sta che Puffetta, invece che essere la miccia per guerre fratricide tra i possibili contendenti (la Storia insegna, dalle Sabine in poi) o viceversa far alzare le quotazioni a livelli stratosferici di quella preziosa “merce” che non voglio nominare perché, in questi giorni, se ne è ampiamente abusato sui giornali, non costituisce nessun problema, perché i Puffi, beati loro, sono perfettamente asessuati. E anche questo, pensateci bene, è un vantaggio non da poco. D’altronde un motivo ci sarà se, in 10 giorni di programmazione negli Stati Uniti, il film ha guadagnato 10 milioni di dollari e, in due in Italia, più di due e mezzo. E il motivo è che, secondo me, tutti, grandi e bambini, abbiamo una gran voglia e un gran bisogno di ingenuità e magia, di un po’ di buonismo vintage, per rivivere quei bei tempi andati quando anche i cartoon erano un bell’esempio (come il nostro delizioso Geronimo Stilton: a proposito, ci è venuto a trovare in redazione, andate a leggere a pag. 31), non aggressivi come i Pokémon o scorretti (deliziosamente scorretti, lo ammetto) come i Simpson.

Ma dal momento che l’attualità ha ampiamente superato la fantasia, lasciateci giocare in santa pace con gli ometti azzurri alti “due mele e poco più”, teneri, gentili e che - udite, udite - non dicono neppure le parolacce. Però, siccome il mondo è pieno di scocciatori che si divertono a rovinare i sogni altrui, e che detestano buoni e buonisti, ecco che tale Antoine Buéno , giornalista e scrittore francese, ha pensato bene di massacrare i Puffi, accusandoli nel suo Piccolo libretto blu delle peggiori nefandezze e cioè sostanzialmente di essere i rappresentanti di “un’utopia autoritaria stalinista o nazista” (?!). Gruppi ecologisti hanno reagito difendendo gli ometti azzurri come “i migliori rappresentanti di un mondo no global, anticonsumista e solidale” (tutto questo perché vivono nei boschi, in case fungo). Ma i detrattori non si sono arresi: i Puffi sono antisemiti, come si evince chiaramente dal fatto che Gargamella, il cattivo, ha il naso adunco da ebreo, e Puffetta è bionda, come una perfetta ariana... Ma quando mai, risponde un altro critico, la verità è che Puffolandia è la rappresentazione di una loggia massonica e il Grande Puffo altri non è che il Grande Maestro.

Ma volete smetterla? E come avete fatto a scoprire tutti questi retroscena, intercettando i Puffi? Non se ne può più...

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