Quando un violento fa la vittima
Le violenze psicologiche possono essere anche più feroci di quelle fisiche. Perché non lasciano scampo alla vittima. Se lo ricordano spesso, tra volontarie, al Telefono Rosa di Milano.
Durante il processo che ha coinvolto gli attori Johnny Depp e Amber Heard, gli esperti invitati a parlare sui media hanno usato spesso la parola “Darvo”, un meccanismo perverso che porta la vittima a dubitare di se stessa con il rischio di passare per carnefice.
L’acronimo nasce dalle parole “Deny, Attack, Reverse Victim and Offender” - denigrare, attaccare e poi arrivare a far credere alla vittima di essere il carnefice - ed era stato già molto usato nel 2016 quando l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva ricevuto accuse di molestie da tre donne, Jessica Leeds, Rachel Crooks e Mindy McGillivray.
In quell’occasione aveva raccontato pubblicamente episodi denigranti nei loro confronti e aveva rilasciato interviste in cui sosteneva di essere stato lui la vittima. Un vero e proprio ribaltamento dei ruoli.
«In Italia di “Darvo” si parla già da anni, solo che viene chiamato in altri modi», spiega la psicoanalista esperta di femminicidi Nadia Muscialini. «Il termine più comune è “manipolazione” ma anche “molestie morali” o “relazioni perverse”. A subirle solitamente sono le donne, ma non è sempre così. È un meccanismo che si incontra anche nelle coppie omosessuali», specifica.
«L’inizio dei problemi è più o meno uguale per tutti: parte con messaggi che creano confusione nell’altro. Possono essere minacce gravi pronunciate in tono pacifico. O accuse banali urlate con aggressività. Eventi che, in una prima fase, confondono e preoccupano la vittima», dice Muscialini, esperta in prevenzione e contrasto della violenza di genere.
«La seconda fase è la negazione e avviene quando il soggetto più debole prova ad affrontare l’argomento, che puntualmente viene negato dal soggetto più forte. Che subito dopo si chiude in lunghi silenzi. È un modo per far sentire in colpa la vittima, come se fosse pazza o si fosse inventata tutto». Da quel momento la relazione è in pericolo perché il dubbio viene disseminato nella testa di chi subisce le minacce. “È colpa tua che mi stai irritando”. “Vedi qualcosa che non esiste”. “Stai mettendo in discussione il nostro rapporto ma l’unico problema qui sei tu”.
Tutti messaggi inconsci che vengono lanciati dal “carnefice” e che la vittima metabolizza.
«Per molti soggetti è una norma riprodurre questo meccanismo nelle relazioni», continua Muscialini. «In terapia arrivano donne di successo diventate insicure. All’inizio hanno subito scenate di gelosia e quando hanno provato a comprendere, magari proponendo una terapia di coppia, sono state denigrate dal compagno».
Il rischio è che la vittima smetta di combattere e si convinca di essere nel torto. Spesso si arriva al tradimento e alla violenza fisica. «Il problema è quando la vittima crede persino di essere stata tradita per colpa sua. Talvolta accade che le vittime corrano un maggior rischio di vita quando riescono a liberarsi da quel meccanismo».
La chirurga d’urgenza e Pronto Soccorso di Milano Maria Grazia Vantadori, volontaria del Telefono Rosa, ne ha viste tante: donne arrivate a chiedere aiuto, al limite della capacità di sopportare.
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Testo di Annalisa Venezia e Letizia Magnani
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