«Perché i figli devono avere per forza un padre e una madre?»: l'editoriale di Silvia Grilli

Dopo il mio ultimo editoriale sulla violenza domestica, ho ricevuto alcune email di mamme costrette dalla legge, dopo la separazione, a fare vedere i figli al marito abusante per continuare a garantire ai ragazzi il diritto ad avere un padre e una madre.
Ho ricevuto un’altra lettera dove una donna ricordava come le avessero prelevato i figli perché dopo il divorzio non assicurava il cosiddetto diritto alla bigenitorialità. Glieli hanno tolti di notte e con un vero e proprio blitz, con i ragazzi caricati sulle volanti.
Ho chiesto a un’avvocata esperta di violenza domestica come possa succedere che un marito abusante conservi la prerogativa di frequentare i suoi figli. Mi ha risposto che in realtà, dopo la riforma Cartabia del 2023 (che introduce più tutele per le vittime per evitare che lo siano due volte), questo non dovrebbe in teoria più accadere. Ma in realtà non basta una legge per cambiare una mentalità radicata.
La mentalità radicata è che «non è detto che un marito violento sia anche un cattivo padre». Quando si vanno a intervistare i vicini di casa dopo un femminicidio, costoro rispondono sempre che lui era così gentile, salutava sempre. Era così affettuoso con i bambini, li accompagnava persino a scuola (ogni tanto).
La mentalità radicata è quella dei carabinieri o della polizia che, quando vengono chiamati a gestire la violenza, a volte (oppure spesso) non la capiscono. A volte (oppure spesso) non comprendono che uno schiaffo è solo l’estremo atto di una serie di abusi psicologici, che prima c’è stato l’isolarti dagli amici, il pretendere di vestirti come vuole lui, l’impossessarsi del tuo conto corrente, il vietarti di lavorare, il controllarti il cellulare, la svalutazione di ogni tua azione. Non è chiaro che violenza non è solo riempirti di lividi, ci sono lividi che non si vedono e sono quelli che ti ha lasciato dentro.
La mentalità radicata è quella di chi dice: «Sì, era violento con lei, ma i bambini non vedevano, erano nella loro stanza a dormire». Che cosa non vedevano i bambini? Non si accorgevano del padre che impediva una vita alla madre? Non vedevano che la trattava come la metà di niente? Una nullità, priva di forze. Non vedevano quello schiaffo? Non avevano paura?
La mentalità radicata è quella di certi giudici che dicono: «Mi occupo di separazione, ma non di violenza domestica, quello è un altro ambito e nella separazione voglio garantire ai figli il diritto di continuare a vedere entrambi i genitori per il loro benessere». Qual è il loro benessere? Avere due genitori comunque essi siano o averne uno solo che dia loro una vita serena?
La legge favorisce il diritto ad avere due genitori anche dopo la separazione, ma chi favorisce il diritto ad avere un padre e una madre prima della separazione? Nessuna norma sancisce l’equità tra i genitori durante la convivenza: quanto tempo per ciascuno da dedicare ai figli, quando portarli a scuola, quando andare in gita, quando aiutarli a fare i compiti.
Finché la coppia non si separa, nessuno entra all’interno di un rapporto per stabilire se è paritario, se la donna non è stata costretta a rinunciare al lavoro per dover seguire a tempo pieno i figli, rinunciare ai soldi, ai suoi amici, alla sua individualità.
Forse bisognerebbe garantire il diritto alla bigenitorialità mentre la coppia è in atto. La vera bigenitorialità è la parità fra i coniugi ed eviterebbe tanta violenza. Ma non si raggiungerebbe solo con una legge, le leggi non bastano mai.
Aiutano, ma non bastano. Ci vuole il cambiamento radicale di una società intrisa di violenza e diseguaglianza tra i generi.
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